L’editoriale di A. Giordano: “Luciano, l’influencer vertical!”

Così scrive nel suo editoriale il collega Antonio Giordano del CdS.

P ur senza voler essere un guru, Luciano Spalletti s’è ritrovato in un ruolo che sembra gli cali addosso come un mantello: in due settimane, due conferenze stampa e un incontro con il pubblico, gli è bastato esprimere se stesso, nei propri contenuti, per riscoprirsi avvolto in una dimensione, forse insolita o anche no, d’influencer senza macchia e senza paura, d’un uomo che sa sempre cosa dire – e pure come dirlo – anche quando invece sarebbe consigliabile glissare, «democristianamente» si direbbe. Il primo equivoco di fondo, di chi ascolta non suo, è stato scatenato dalla definizione che Spalletti ha dato di sé: «sono un aziendalista». E quasi come se fosse un insulto o un’offesa ritenersi tale, intorno al sostantivo si sono allungate ombre. Essere «aziendalista» fa invece onore a chi, con il proprio club, condivide – non ciecamente, né acriticamente – le filosofie, le strategie, alle quali può offrire sostegno con le personali idee. Spalletti non s’è nascosto dinnanzi a quel tam tam esclusivamente social che ancora insegue streghe nel pareggio con il Verona («basta parlarne»), non ha deragliato su Koulibaly che gli piace al punto di spingerlo «ad incatenarsi», non s’è sovrapposto né ad Adl e né a Insigne («bisognerà aspettare l’incontro e sentire cosa si diranno; è chiaro che l’occasione fa l’uomo ladro e il mercato fa invece il calciatore scontento e distratto, ma io sono ottimista»). Spalletti non blandisce, non lusinga, esibisce l’hombre vertical (non i muscoli) che furono Benitez e Ancelotti, quando – a esempio – espressero ad Adl la propria civile contrarietà per la scelta di un ritiro punitivo; e come loro resta all’interno del proprio ruolo, rispettando l’autonomia e l’autorità altrui ma con autorevolezza, senza scadere in contrapposizioni dialettiche populistiche, per ottenere il consenso a tanto all’etto.  C’è un’onestà intellettuale a presa rapida in queste settimane di luna di miele che non è glassa da spargere su giorni anche noiosi, pieni di niente in un mercato che per chiunque è sofferenza allo stato puro, e Spalletti, pure fisiognomicamente, ha provveduto a spingersi oltre: ha cominciato a riempire il futuro, ad arricchirlo di sé, della sua figura e delle sue teorie, di uno spessore comunicativo, nella consapevolezza che sì, maledizione è vero”, poi la parola passa al campo, però vuoi mettere cominciare mentre intorno c’è un garante per la trasparenza”. 

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