“L o stallo nel rinnovo contrattuale di Insigne è emblematico e propone diversi spunti sulla direzione che il calcio sarà forzato a imboccare dalle conseguenze del Covid. Da una parte c’è un calciatore, forse all’apice del successo sportivo perché fresco campione d’Europa e giunto a 30 anni, con tutti i presupposti per consacrarsi – nel secondo tempo della carriera – come bandiera del club che ha rappresentato per un decennio, nella città in cui è nato tra tifosi da cui è amato. Volendo monetizzare l’ultimo contratto importante, non intende scendere dai 4,5 milioni netti dello stipendio attuale. Dall’altro lato, la società deve fare i conti con il crollo delle entrate: botteghino praticamente azzerato, proventi da trading di calciatori ridotti al lumicino.
Vuole tenere il suo capitano ma fatica a immaginare i prossimi anni senza pianificare una riduzione dei costi di gestione, come qualsiasi azienda che sappia di non poter contare sul ritorno imminente ai vecchi livelli di fatturato.
Risolvere una simile equazione non è semplice, ma dovrebbe essere chiaro a tutti (anche a tifosi e calciatori) che puntare i piedi con richieste avulse dal contesto economico in cui ci troviamo non è realistico. Il mercato per fortuna esiste, consentendo a chi disponga di un valore monetizzabile di trovare acquirenti, ma proprio il contesto economico lo rende oggi asfittico, perché tutti sono sulla stessa barca. Lo stallo in cui si trova il Napoli con Insigne non è l’unico caso: lo stesso accade alla Juve con Dybala, al Milan (che ha già scelto di veder partire Donnarumma e Calhanoglu) con Romagnoli e forse Kessie e all’Inter con Lautaro, per citare solo i casi più caldi. Nel vecchio paradigma di mercato queste vicende si sarebbero risolte in maniera dicotomica: un rinnovo a condizioni migliorative per il calciatore oppure una cessione ad altro club per non perdere il valore del cartellino.
Entrambe le strade sono, in molti casi, ora sbarrate perché poche società possono incrementare il monte ingaggi e quasi tutte, anzi, devono ridurlo. Chi può offrire al mercato un valore prospettico – tecnico ed economico – trova il modo di piazzarsi ma Donnarumma, Hakimi, De Paul sono la punta dell’iceberg e big spenders come PSG e Chelsea sono un unicum difficilmente replicabile, dunque il mercato non offre sempre la soluzione. L’età disincentiva l’investimento nel cartellino: anzitutto perché il valore di un calciatore scende vertiginosamente dopo i 30, ma poi perché senza liquidità le valutazioni sono solo teoriche e anche i campioni top (a partire da Messi e CR7) non hanno acquirenti se nessuno può mettersi in casa passività così rilevanti. La soluzione può essere un bagno di realismo da ambo le parti: prolungare il contratto a cifre ridotte per un certo numero di anni garantendo sostenibilità alla società e stabilità al calciatore, magari gettando le basi (in qualche caso) per un ruolo dopo il ritiro agonistico. Oppure rivolgersi al mercato. Con i migliori auguri”.
Entrambe le strade sono, in molti casi, ora sbarrate perché poche società possono incrementare il monte
A cura di Alessandro F. Giudice (Cds)