C’è una generazione cresciuta con il mito dell’11 luglio e che recitava a memoria: «Zoff, Gentile, Cabrini…». La formazione che l’11 luglio del 1982 scese in campo al Bernabeu e vinse la coppa del Mondo contro la Germania. In quella finale e nella filastrocca c’era anche Antonio Cabrini.
E domenica ci sarà un’altra finale con l’Italia protagonista: ancora un 11 luglio. «È una coincidenza che ci riporta a quella notte magica. Chi è uno sportivo e un appassionato di calcio sa cosa è quella data. Non serve aggiungere altro».
«Quella data», lei la chiama così, ma il primo ricordo che ha dell’11 luglio 1982? «L’ingresso allo stadio prima e l’ingresso in campo per l’inizio della partita poi. C’erano 80 mila persone ed era una bolgia. Un’emozione unica. Qualcosa di irripetibile. E infatti, a causa del Covid, purtroppo domani non sarà la stessa cosa. Ma credo che Wembley offrirà lo stesso un bel colpo d’occhio. D’altra parte una finale giocata lì è una cosa non da tutti i giorni. Poi giochiamo contro i padroni di casa, ma non per questo partiamo da sfavoriti. Anzi».
Ovvero? «Sotto l’aspetto del gioco l’Italia ha dimostrato di essere più pronta rispetto all’Inghilterra. Ma è una finale e bisogna tenere gli occhi aperti. Può succedere di tutto dopo 6 partite che sono state molto dispendiose».
Può succedere di tutto e lei lo sa bene, perché proprio l’11 luglio del 1982 sbagliò un rigore sullo 0-0. «Sono cose che possono capitare, anche in una partita decisiva. L’importante è non perdere la consapevolezza dei propri mezzi. Bisogna capire che il calcio è fatto anche di errori e che tutti sono recuperabili».
In quel caso ci pensarono Tardelli, Rossi e Altobelli: poi è iniziata la festa. La sua? «Al fischio finale sono corso ad abbracciare Paolo Rossi per festeggiare insieme. Un abbraccio lungo e sentito. Solo dopo è iniziata la bolgia generale».
Ma si ricorda la notte prima della finale? «Certo, ero molto tranquillo. Una serata e una notte passata come tante altre in quel Mondiale. Perché in una competizione così, da dentro o fuori, ogni partita è una finale. Non è giusto caricarsi di tensione, poi si rischia di deconcentrarsi. Io ero in camera con Paolo, come sempre e non la vivemmo in maniera diversa dalle altre notti».
In tribuna c’era Pertini, e domani ci sarà Mattarella: che effetto fa sentire il peso di una Nazione intera? «Pertini ha vissuto quel Mondiale in maniera viscerale e in particolare la finale di Madrid. Oggi i tempi sono cambiati, ma il fatto che il presidente Mattarella vada a Londra rappresenta un messaggio forte: lo sport come leva trainante per tutto il Paese».
Con lei in campo l’11 luglio 1982 c’era anche Lele Oriali che domenica sarà ancora in campo: ma da dirigente della Nazionale. «A Lele auguro di rivivere le stesse emozioni di Madrid, anche se saranno in una nuova veste. Sono sicuro che con la sua esperienza e le sue parole sarà di grande aiuto ai ragazzi che dovranno andare in campo, ma conoscendolo soffrirà più di loro».
Davvero? «Viver le partite così sul campo senza poter giocare è la sofferenza maggiore. Ma saprà compensare con i consigli».
Ma vede un punto di contatto tra la vostra Nazionale e questa di Mancini? «Impossibile fare paragoni dal punto di vista tecnico perché sono passati troppi anni e il calcio si è evoluto troppo. L’unica cosa che accompagna questa squadra è la consapevolezza della forza del gruppo. L’unione che si è creata mi ricorda quella che avevamo noi».
E Mancini? «Ha lavorato talmente bene in questi anni che penso la coppa sarebbe solo la ciliegina sulla torta. Lui ha già vinto. Ha cambiato la mentalità e ha risollevato una squadra che era a pezzi riportando entusiasmo attorno a questa gruppo fantastico».
B. Majorano, Il Mattino