C’è stato un uomo a cui piaceva «far frullare il pallone» e poi ce n’è stato uno che si è preso la Storia sulle spalle e le ha dato una lustratina, portando il Napoli dalla C all’Europa. C’è stato un allenatore di passaggio, un traghettatore ante-litteram, e poi ne è arrivato un altro che dopo aver restituito il gusto di una Coppa, ha spalancato le porte della Champions. C’è stato un «innovatore» vero, un gentleman capace di incidere sull’evoluzione della specie introducendo in inesplorati Mondi, e poi è toccato al Comandante e alla sua rivoluzione per arrivare al Palazzo ma scoprire che in realtà quello era un albergo, dove piangere mentre si cercava uno scudetto perduto. C’è stato pure un Re, un Imperatore, al quale dopo 566 giorni venne sottratto il trono, e poi c’è stato un suo erede che annusando «il pericolo» e inseguendo «il veleno», si è perso dopo aver conquistato una Coppa Italia, vero, ma aver dilapidato un patrimonio, ch’è la Champions. Ci sono otto volti che si sono avvicendati in panchina, nell’era De Laurentiis, prima di Luciano Spalletti, che conosce le insidie del mestiere e anche però le gratificazioni: perché è vero, Ventura e Donadoni, guarda un po’ due Ct, sono durati meno di tutti, e pure Ancelotti, il Gran Maestro, non è riuscito a seminare ciò che avrebbe voluto, ma Reja e Mazzarri hanno testimoniato la credibilità del progetto a lungo termine, Benitez ha potuto spargere la propria autorevolezza per rielaborare un «progetto internazionale» e Sarri ci ha girato la sua Grande Bellezza. Senza Jep Gambardella, però riuscendo (quasi) a far fallire le feste altrui. Una botta di vita si può anche al Sud.
Fonte: A Giordano (CdS)