È un socievole, ironico gentiluomo francese di 77 anni Daniel Pennac. Domenica prossima, al «Campania teatro festival», il popolare scrittore sarà autore e interprete di «Ho visto Maradona». Sì, proprio lui. La mano destra (e anche sinistra) di Dio padre. Lo spettacolo è in programma a Capodimonte, nel Giardino paesaggistico pastorale, alle 21 (ingresso da Porta Miano). La compagnia di Daniel è multietnica: «Argentini, napoletani, catalani, africani, indiani, spagnoli. Tutto il mondo, anche a teatro, si inchina al dio del calcio». L’allestimento sarà in italiano, napoletano e francese. La genesi del testo la racconta lo stesso Pennac: «Ero a Parigi il 25 novembre. Torno a casa, dove tengo prigionieri per il covid Pako e Demi, e li trovo in lacrime. Che cosa accade? Tra i singhiozzi mi danno la ferale notizia: È morto Maradona. Poco dopo, suonano al campanello: è Clara. Entra piangendo: È morto Maradona. Mentre tento di consolarla, squilla il telefono: Ximo. Altri pianti. Allora penso: se costoro reagiscono così, ce ne saranno altri quattro milioni, o miliardi, nel medesimo stato d’animo. Vale la pena di indagare». Anzi, di più: «Creare teatro sul campione – suggerisco ai ragazzi – può essere un modo per elaborare il lutto. Innanzitutto, non scriveremo una storia della sua parabola terrena, ma sull’effetto che ha provocato nel mondo. La frase che ci ha ispirati è di un disegnatore argentino, Roberto Fontanarrosa: Non m’importa cosa Diego abbia fatto della sua vita, mi interessa ciò che ha fatto alla mia».
Pennac ne è sicuro: «C’è solamente un altro come lui: Cassius Clay, Mohammed Alì. Due sportivi capaci di generare poesia. Maradona è idolo, nume tutelare e capro espiatorio, profondamente ambivalente. Dopo una notte di stravizi, si presenta al campo e fallisce. I cronisti gli domandano: Perché hai giocato male?. E lui, invece di risposte evasive, o di scuse, risponde con una immagine incredibilmente poetica: Non ho più gambe, come una foto tessera. Straordinario!».
«Ho visto Maradona è una ricerca d’autore e anche un viaggio. In uno spogliatoio, che però diventa anche altro, al di fuori dello spazio e del tempo, si susseguono storie personali sul suo mito, in un percorso che dall’inferno lo porta al purgatorio e in paradiso». E quale Maradona emerge? Pennac: «Quello di un’altra sua poesia spontanea: Che non finisca mai l’amore per cui vivo». Non manca, infine, qualche battuta su Napoli. Pennac, sa che Pasolini scrisse che è «l’ultima tribù d’Europa? «Ha ragione. Io vivo a Belleville, ma se non potessi, vivrei qui, pur se ne percepisco i rischi. A Napoli tutto può succedere. Perché la sua vitalità si esprime in esplosioni quotidiane. Non è come le altre città. È un gioco del caso».
A cura di Luciano Giannini (Il Mattino)