C’è mancato solo Biden, poi sono stati praticamente tutti idealmente convocati: da Draghi in giù – noblesse oblige – Aurelio De Laurentiis ha lasciato che dentro quei centoventi minuti, dunque supplementari compresi, ognuno avesse un ruolo, una parte, una funzione. E come se a bordo campo fosse stato pure sistemato un confessionale, Adl ha provveduto a dispensare le sue verità, che tra virtuosismi dialettici, tackle anche rovinosi e teorie personali, sono servite per colmare quel vuoto mediatico enorme, gigantesco, quattro mesi, 129 giorni, travolti da un’onda anomala che qualche detrito, chiaramente, l’ha lasciato sul bagnasciuga. Ci sono tanti De Laurentiis, chiaramente, in questa «edizione straordinaria» che il 30 giugno chiude un anno e ne apre un altro e in questa personalità che si scompone, c’è una cucchiaiata di miele per Gattuso («non ho mai voluto esonerarlo») e poi un pizzico di fiele, che certo non poteva avere destinatario diverso («finalmente otteniamo cinque cambi a gara e li sfruttiamo gli ultimi 10 minuti? Ma stiamo scherzando? Solo perché non li sai gestire?»). ma c’è Spalletti, c’è Insigne, c’è Fabian Ruiz, gli Europei, l’Olimpiade, Florentino Perez, la Superlega, la crisi da affrontare, le strategie, la glassa che cola ma pure un retrogusto amaro che s’avverte: è finita la cuccagna. «Spendiamo più di quanto fatturiamo. Nessuno è incedibile ma noi vogliamo far quadrare i conti e tornare in Champions League».
Inizia la nuova stagione, De Laurentiis. «E io vorrei fare una domanda a Draghi: ci sono 30 milioni di persone che seguono il calcio, l’80% sono uomini che lavorano per il Paese, perché allora ti disinteressi completamente del nostro mondo? Perché non viene posticipate la partenza del campionato? Perché non stabilire che gli stadi, invece che aprirli al 25% – come detto da qualcuno – non siano fruibili da chi si è sottoposto ad entrambi le dosi di vaccino?».
Il Covid vi ha piegato in due. «Il sistema è sotto di un miliardo e mezzo. E a me non sembra che il governo italiano si sia messo una mano sulla coscienza».
Intanto, anche voi avete sforato… «Sono passato dai 32 milioni di stipendi dell’ultimo anno di Mazzarri ai 156 attuali: quindi, c’è qualcosa che non quadra. Adesso dovrà prevalere il buon senso».
Rimpianti ce ne sono. «Alcuni acquisti non avrei dovuto farli con il Covid. Avrei dovuto congelare tutto per sopravvivere. Invece da ultra ottimista quale sono, ho investito troppi soldi».
L’ultima vostra partita, Napoli-Verona, è un tormento per la gente. E qualcuno ci ha messo dentro anche idee complottistiche. «È stata una grande delusione. Nell’intervallo sono andato negli spogliatoi per sostenere la squadra e al gol di Rrahmani mi sono quasi rilassato. Ma poi…. Non ho recriminazioni, né faccio dietrologia. E comunque, in una cena gaudente tra Dimaro e Castel di Sangro proverò ad avere, guardandoli negli occhi, risposte che non arriveranno mai».
Sulla Superlega non ha ancora assunto posizioni: ma Florentino Perez la contattò? «Con lui ho fatto colazione, anche in compagnia di Maradona, a Madrid, ma di Superlega non abbiamo parlato. La Superlega è una sciocchezza. Semmai, come dico da anni, andrebbe creato un campionato europeo più equilibrato, a cui accedano soprattutto in cinque Paesi principali. Perché se l’Udinese o la Fiorentina arrivano tra i primi 6 hanno il diritto di giocarsela con le grandi».
Tra un anno e mezzo Mondiali in Qatar. «Altra super cazzata del secolo. Infantino è una bravissima persona, molto intelligente e preparato. Lì ci sono interessi nati nel tempo. Ma ciò che era valido prima del Covid, non è più valido nel post-Covid».
Ha detto no ad alcuni calciatori per le Olimpiadi. «Ecco: poi si dice che De Laurentiis ha negato a Fabian Ruiz di andare a Tokyo. Ma se si riducessero le partite, con un campionato a 16 squadre, il discorso cambierebbe».
Ha scelto Spalletti per ripartire. «Veramente, l’avevo già cercato anni fa, prima di andare su Sarri, ma lui aveva un contratto con i russi. Trovo sia l’uomo giusto per il Napoli, fa giocare bene e quando lo abbiamo affrontato non è mai stato semplice per noi».
Dovrà risolvere alcuni casi: per esempio, Insigne. «Non ci siamo incontrati, lo faremo quando sarà finito l’Europeo e a quel punto sarà quel che sarà».
La strategia quale sarà, adesso. «Spendiamo cifre che non fatturiamo. In un mercato in cui sono tutti afflitti, non è facile. Non ci sarà un ridimensionamento ma una presa di coscienza. Però il budget va rivisto, altrimenti fai fallire il Napoli. Vanno tagliate le spese eccessive».
Rifarebbe tutto ciò che (non) ha fatto? Per esempio, dopo Verona-Napoli, aveva in mente la rivoluzione tecnica. «Non ho mai seriamente voluto esonerare Gattuso. L’ho visto spesso dolente, con gli occhiali. Gli avrei anche chiesto di fermarsi per poi farlo tornare non appena disponibile. E’ vero che chiesi la disponibilità a Spalletti e la ottenni».
E parlò anche con Benitez, se è per questo. «Con Rafa mi sento spesso, è rimasta una specie di sintonia che scattò immediatamente. Perché la prima volta che io e lui parlammo di giocatori, Benitez mi fece una lista da 100 milioni. In 5 minuti mi presento’ una seconda lista, anche quella troppo cara. Poi si presentò con la terza lista che divenne quella effettiva».
Non ha mai avuto la tentazione di confermare Gattuso? «Prima della gara con il Verona, convinto di qualificarci per la Champions, avevo preparato un saluto per lui, che ovviamente poi dovetti adattare. Ma l’idea di separarsi da Gattuso risaliva all’estate precedente: lo avevo preso per tamponare l’uscita di scena di Ancelotti, poi vincemmo la Coppa Italia e mi sembrò giusto confermarlo. C’è stato un momento in cui abbiamo parlato di rinnovo, senza però mai trovarsi in sintonia».
Intanto, scelse il silenzio stampa proprio per frenarne la sua vena polemica. «E fu la panacea, perché c’era il rischio di rovinare ulteriormente il rapporto tra di noi. All’epoca, sentii cose inappropriate, anche da parte di ex calciatori che fanno gli opinionisti. Ho deciso di continuarlo, all’ultima di campionato, perché mi sembrava inelegante far massacrare Gattuso. Tutto qua. Avessimo vinto, avrebbe parlato. Io a Rino non ho nulla da rimproverare, alto senso di professionalità, entrava a Castel Volturno al mattino e ne usciva la sera. È andata così».
Con Spalletti quando comincerete a discutere di futuro tecnico? «Sarà l’allenatore a decidere cosa fare, chi sostituire e chi no. Luciano sarà domani a Castel Volturno, sarà il primo approfondimento, il mercato effettivo comincia da luglio. I nostri obiettivi per la prossima stagione saranno: far quadrare i conti e tornare in Champions League».
E se arrivano proposte indecenti? «Magari ce ne fossero. Nel Napoli nessuno è incedibile dinnanzi a offerte appropriate».
Basterà cedere un calciatore? «Forse no».
Il caso Salernitana è argomento che può interessarla perché un giorno, e lei ovviamente se lo augura, una vicenda simile potrebbe riguardare anche la sua famiglia. «È difficile dare un giudizio. Ci sono interpretazioni sul piano sportivo e giuridico che non sono tutte da una parte o dall’altra. Se so che in A non posso avere una seconda squadra devo avere già le carte in ordine per un’eventuale cessione. Per il quieto vivere del calcio, anziché accendere gli animi, bisognava sedersi a un tavolo e trovare una soluzione non all’ultimo momento”.
È l’anno dei cambiamenti anche sul fronte stilistico: le maglie le ha disegnate Armani e la sta producendo Onis. «Siamo lo sponsor tecnico di noi stessi. Molti mi hanno dato del pazzo. Adidas, Puma, Nike ci mettono 18 mesi per la produzione, ed io ho detto “vaffa” mi ci metto a lavorare. Faremo una conferenza stampa con EA7, Emporio Armani, nel momento in cui avrò degli esempi dei materiali».
Il Var sta diventando sempre più decisivo e centrale «Ma io sono due anni che invoco la possibilità di concedere a ogni allenatore due chiamate durante i 90’. Ma l’Italia è il paese dei poteri forti e anche gli arbitri sono dei centri di potere, che esistono perché si eserciti per favorire gli amici e sfavorire i nemici».
Fonte: A. Giordano (CdS)