Ha impiegato pochissimo a diventare il talento della scuola calcio, ma anche il tormento per le difese avversarie. «In partita provavano a fermarlo in 6 o 7 bambini, ma tutti senza risultati», ricorda l’ex compagno Antonio D’Errico. «Il nostro allenatore gli cambiava spesso numero di maglia, perché si era sparsa la voce che il nostro 10 fosse immarcabile. La sua strategia durava pochissimo, perché dopo appena 2 minuti di partita tutti lo riconoscevano per il talento e la capacità di saltare l’uomo. E poi il tiro da fuori: è sempre stato il suo marchio di fabbrica fin da quando era piccolissimo».Bruno Majorano (Il Mattino)