L’editoriale di Francesco De Luca su Il Mattino:
“Dove eravamo rimasti? A quei rigori sbagliati dagli sciagurati Pellé e Zaza contro la Germania nello stadio di Bordeaux, 2 luglio, Europei del 2016. Poi l’Italia è sparita dal palcoscenico condannata da un altro sciagurato – l’ex commissario tecnico Ventura – a saltare il Mondiale 2018. Adesso ha l’onore di aprire Euro2020 che si gioca con dodici mesi di ritardo e accetta l’onere di essere una delle favorite, in virtù del positivo score e del brillante gioco di Mancini, che ha confermato le sue grandi doti in panchina vincendo 23 partite su 33. Ma c’è un ma e occorre evitare che l’euforia si trasformi in trappola. In queste 33 partite l’Italia ha soltanto due volte affrontato un’avversaria di prima fascia, escludendo l’amichevole con la Francia prima del Mondiale vinto dai Bleus in Russia: nella Nations League 2018 sfidò il Portogallo campione d’Europa, sconfitta e pareggio. Dunque, cautela. Il girone appare abbordabile anche se la Turchia – prima avversaria domani all’Olimpico aperto a 14mila spettatori – ha un bomber d’esperienza, Yilmaz, che ha vinto il campionato francese con il Lille e un gruppo giovane (l’età media più bassa del torneo, 24.9 anni) e carico di entusiasmo. E di relativa difficoltà, in caso di primo posto nel girone, potrebbe essere anche l’ottavo di finale mentre il quarto rischia di riservare il confronto col Belgio di Lukaku e Mertens.
Mancini, grande motivatore, ha dichiarato che il suo obiettivo è la finale di Wembley dell’11 luglio e ha augurato al ventunenne Raspadori di essere come Pablito Rossi al Mundial del 78. Ma non si nasconde le difficoltà di questa missione, che gestirà con la sicurezza e l’autorevolezza di chi ha avuto il mandato di guidare la Nazionale fino al 2026. La storia dimostra che nelle difficoltà la squadra azzurra si esalta: era accaduto nel 1982, quando tanti sputavano veleno sugli uomini di Bearzot, come nel 2006, quando Lippi cominciò il Mondiale in piena tempesta Calciopoli. A Madrid e Berlino furono due trionfi. Quando si è creato un clima di eccessivo ottimismo intorno alla Nazionale, vi sono state delusioni cocenti, come quella di Italia 90. E ricordiamo che l’Europeo è stato vinto una volta sola, nel 68, proprio all’Olimpico. Dunque, cautela, con la consapevolezza che in questa Coppa itinerante – 11 città di 11 Paesi – che vuole riappropriarsi della normalità calcistica la grande favorita è la Francia campione del mondo, che ha aggiunto alla squadra di tre anni fa Benzema, 30 gol nell’ultima stagione col Real.
Il lavoro di Mancini è stato importante sul piano dell’autostima perché ha eliminato la caratteristica sparagnina, diciamo pure catenacciara, dell’Italia. La difesa funziona (zero gol subiti nelle ultime 8 gare ma non c’erano avversari particolarmente forti) e il 4-3-3 di sarriana ispirazione – non a caso Insigne è un uomo chiave della Nazionale – è lo sguardo proteso verso la porta avversaria, la verticalizzazione puntuale, il pressing costante. Al centro del gioco c’è un pilastro di quel grande Napoli, Jorginho. La prima linea è made in Sud: il calabrese Berardi a destra preferito a Chiesa (e a Politano, che avrebbe meritato di essere nell’elenco dei 26 dopo l’ottima stagione a Napoli), poi i napoletani Immobile e Insigne, la cui sintonia è nata nove anni fa nell’ultima meraviglia zemaniana, il Pescara che salì in serie A. Ciro, Scarpa d’oro 2020, si gioca molto nei primi 90′ dell’Europeo a casa sua. La scelta di Mancini è stata agevolata dal grigiore di Belotti, salvatosi col Torino alla penultima giornata, però adesso il bomber di Torre Annunziata deve prendere per mano l’Italia al fianco del ragazzo di Frattamaggiore che è diventato il leader del Napoli. Il ct aspetta i gol dalla squadra, non solo dalle tre punte, perché la sua Nazionale è veramente squadra, un concetto che in quasi tre anni di lavoro è riuscito a trasmettere e far comprendere ai 67 convocati, da Chiellini a Raspadori. A proposito dello juventino, c’è un interrogativo sulla tenuta fisica della difesa perché Chiellini e Bonucci sono reduci da una stagione non esaltante e l’età incalza (36 anni il primo, 34 l’altro). Ma hanno personalità ed esperienza, doti fondamentali in una competizione. Mancini non è abituato a ragionare come tanti dei suoi predecessori con la logica dei blocchi perché quando era giocatore, il migliore della grande Samp, faticava a trovare spazio, quasi fosse in una provinciale. Il punto è un altro: il materiale in serie A è questo e il Mancio è stato bravo a plasmarlo ed esaltarlo. Adesso dovrebbe fare un’impresa”. F De Luca (Il Mattino)