Non è subito diventato Jorginho. Anzi. Prima di diventarlo, di essere campione d’Europa col Chelsea, titolare della nazionale italiana agli Europei, il viaggio è stato lungo. Si racconta al Telegraph:
“Mandorlini mi ha fatto giocare in tutti i ruoli in precampionato: terzino destro, centrale, ovunque. Speravo di fare qualche minuto, ma poi è iniziata la stagione e non andavo in panchina. Sono stato lasciato in tribuna ogni partita. Pensavo tra me e me: “Questo allenatore sta scherzando con me”. E così, dal nulla, mi ha fatto partire in una posizione nella quale non mi ero mai allenato, da numero 10, contro il Torino. Abbiamo perso in casa 3-1 e ho ricevuto ogni tipo di critica. La gente diceva “è troppo magro” e “non è pronto”. Non ho più giocato per un mese, allora ho chiamato il mio agente Joao Santos e gli ho detto: ‘Parto a gennaio!’. Avevo ricevuto anche una telefonata dall’allenatore con cui lavoravo alla Sambonifacese, Claudio Valigi. Aveva firmato per il Mantova in Lega Pro. E mi voleva con lui. Gli ho risposto che ci avrei pensato, ma appena ho riattaccato ho chiamato Joao: ‘Senti, vado a Mantova’, mi disse di calmarmi”.
“E poi, due o tre settimane dopo, in una partita contro il Bari, un nostro giocatore si fa male nel primo tempo. Mandorlini mi guarda in panchina, sembrava disperato: ‘Mio Dio, che faccio?’. Alla fine mette dentro e vinciamo 1-0 in trasferta. La settimana dopo ho iniziato titolare contro l’Empoli, ho segnato un gol e fatto un assist. Migliore in campo. Tutto è cambiato dopo. Per me è stata la svolta”.
Il giornale scrive: “Jorginho diventa il capro espiatorio quando il gioco di Sarri stanca l’ambiente, scrive il Telegraph. “L’insistenza del manager su un gioco di possesso lento e rotatorio irrita i tifosi, che volevano una tattica all-action come con Jose Mourinho, Carlo Ancelotti e Antonio Conte”. “Jorginho era considerato il consigliere sul campo di Sarri suo figlioccio nello spogliatoio”.
“Ho lavorato con Sarri al Chelsea e al Napoli e ho un grande affetto per lui. Non ho bisogno di seppellire questa storia. È chi l’ha creata che deve farlo. Il fulcro del mio lavoro quotidiano non è questo. Alla fine, devi fidarti di te stesso e avere chiaro dove vuoi arrivare. Ho Non ho mai dubitato di me stesso, perché sapevo quanto lavoravo duramente. Corro circa 12 chilometri a partita e non ho iniziato a farlo ora”.