Gianni Minà è stato il giornalista italiano più vicino a Diego Armando Maradona. Una relazione profonda che emerge nel libro Maradona: non sarò mai un uomo comune (Minimumfax Edizioni, pagine 194, euro 16), omaggio al Campione morto per essere stato trascurato dai medici che avrebbero dovuto curarlo. Il suo osservatorio è stato privilegiato, perché ha avuto rapporti intensi con Diego, ecco perché sorprende che Minà critichi i colleghi, quasi accusandoli di aver taciuto della sua dipendenza dalla cocaina.
Lui in un’intervista televisiva del 90 chiese all’amico Maradona: «Ma tu hai dei vizi? Sei una persona che, si dice, vive da bohemien…». Bohemien voleva dire cocainomane?
L’argentino, diventato in quei mesi incontrollabile, voleva andar via da Napoli: gli sembrava una via di fuga anche dalla cocaina e da quel mondo che si era costruito. Riuscì a partire ma solo perché sospeso dalla giustizia sportiva nel 91. Un anno dopo, al termine della squalifica, Minà scrisse una lettera al Mattino per spiegare perché riteneva giusto rescindere il contratto tra il Napoli e il fuoriclasse.
Il legame con la città era stato forte fin dal primo momento e il giornalista lo ricorda ripubblicando un’intervista dell’84, in cui Diego dice: «Il calcio a Napoli più che mai è un sentimento popolare e io non me lo dimentico mai». Tanto si è scritto sul rapporto tra Maradona e la MalaNapoli, però lui spiegò appunto a Minà che non fu questo ambiente a spingerlo verso la droga. «Se c’è un colpevole per quello che mi è successo, quel colpevole sono io (…). Continuo a decidere il bene o il male della mia vita. Napoli non mi ha spinto a niente». Se c’è qualcosa che rimase integro nella vita di Diego, andata troppo presto in frantumi, è stato l’amore con Napoli, con quei tifosi e quei compagni che il Pibe ha adorato. Minà aveva continuato a seguirlo anche quando era sceso dal palcoscenico, vivendo sempre in un precario equilibrio.
Il giornalista ricorda quel terribile momento a Cuba nel 2000, quando il cuore si fermò per 50 secondi, a causa dell’abuso di cocaina. «Ma il Barba, Dio, ancora non mi voleva».
Diego, quindici anni fa, aveva raccontato all’amico la sua speranza: «Mi sento un uomo rinnovato. Rinnovato perché ho avuto tanti problemi, ma mi sono rialzato grazie all’aiuto delle mie due figlie, Dalma e Giannina. Ero praticamente morto». A Dubai si illuse di essere finalmente diventato «un uomo normale». Il vero Diego, quello che sorrideva in campo e regalava gioia, se ne fregava dei dollari. «Se uno vuol colpire il pallone e pensa al denaro, quando disputerà la giocata, la partita, il campionato, bene, è sicuro che quel pallone lo giocherà male. Io non mi dimentico mai che il calcio è un sentimento popolare, anzi un modo di sentire popolare». F De Luca (Il Mattino)