Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Le maniche arrotolate del tempo”

Diego si tira su le maniche. E’ un gesto che è squillo di tromba. Una sciabola sguainata alla punta di una carica di cavalleria. Il gesto che infonde il coraggio nei cuori. Quello che ti fa dare di gomito al vicino di gradino. Diego si solleva le maniche, il pallone tra le mani, mentre caracolla verso il centro del campo. La curva Maratona, che ospita il tifo partenopeo, ondeggia. Si muove. Quei gomiti si toccano in un effetto domino che crea un vortice di adrenalina. Contagiosa. Laudrup ha appena portato in vantaggio la Juventus. Su una goffa respinta di Garella, da due metri, su un traversone innocuo di Cabrini, il danese dallo sguardo furbo e le movenze dinoccolate, ha portato avanti i bianconeri. Un tocco semplice, rapido, sotto misura. La curva juventina ha sussultato appena. Re Michel è andato a congratularsi con il compagno, in maniera regale. Senza smancerie. Noblesse oblige. Maradona o meno, la Juventus finirà il pomeriggio avanti. La sfida lanciata dal Napoli rintuzzata. Il capolavoro argentino, la punizione impossibile, nel match di un anno prima, nel diluvio che fu tripudio, cancellato. Come vuole la storia. Novembre 1986, il gol di Laudrup mette ogni cosa al suo posto nel destino del calcio. Lo pensano tutti. In tribuna centrale, donne ingioiellate, uomini in cappotto di cachemire. La corte piemontese che fa da corollario ai campioni padroni. Manca solo l’ Avvocato, lui va via prima, si sa. Il Napoli è salito al Comunale, annunciato da venti di rivolta. Costruito per vincere, guidato da un dio del calcio, fresco campione del mondo in Messico un’ estate prima. Una squadra che intesse un sogno, con un gomitolo di emozioni. Laudrup la riporta con i piedi in terra, brutalmente. Sarà come ogni volta, nubi, gonfie di blasone, e di spocchiosa arroganza, a rinchiudere l’azzurro in un cielo bianco e nero. Fino alla prossima volta. Ma Diego si tira su le maniche. E batte le mani, mentre scodella la sfera al centro del campo. Il gioco riprende. Quell’azzurro si fa appena largo tra le nuvole. Maradona mette il mento in fuori, la cascata di riccioli ondeggia come ondeggia la curva Maratona,21 dove il tifo granata, nelle altre domeniche, pulsa forte, gremita fin dove l’ occhio si perde. Allagata di azzurro. Renica in velocità brucia la retroguardia juventina, e tira su Tacconi, a colpo sicuro. Bagni si guadagna una punizione, con la forza delle sue gambe da spartano, che pestano il terreno, spingendo indietro la Juve, un Leonida nelle Termopili del Comunale, dove si riscrive la storia. Diego la tira, e pesca l’angolo lontano, Tacconi ci arriva con la punta delle dita. La Juve affanna, rincula, è groggy, sotto i colpi del piede sinistro del Diez, che manda tutti nel sentiero di quel sogno, tracciando verticali. Si è sollevato le maniche, che nessun cuore batta men che veloce, adesso. Giordano spara da fuori, Tacconi vola. La Maratona soffia il fumo del drago. Arrivano da ogni parte, dalla Svizzera, dalla Germania, dagli Stati Uniti. E dall’ Italia. Firenze Milano, Roma. Si fa la storia, tutti vogliono esserci. Quando Ferrario pareggia, nel vortice di un assedio impossibile da rompere, il vento agita le pagine del libro del destino, le scorre veloce. Diego in mezzo al campo solleva le braccia, sorride, le maniche di nuovo raggomitolate, le mani battute ancora assieme, piano, chinando il capo, in un gesto di assenso, incita i suoi. Avanti, sembra dire, finiamo il lavoro. Sulle tribune, donne in pelliccia si agitano, sui sedili, uomini in cappotto e sciarpa, sorridono nervosi. L’ Avvocato, stavolta, si è perso un’ iperbole calcistica annunciata. Intorno a loro, come per incanto, fiorisce l’azzurro. Sciarpe azzurre anche in mezzo all’aristocrazia piemontese. La rivoluzione del calcio. Due minuti ancora e c’ è un corner. Da destra. Lo batte lui, Diego. La palla calciata a rientrare disegna un arco perfetto. Sul primo palo. Una deviazione, verso il secondo palo, dove c’ è, appostato Giordano. Che ha un appuntamento con la storia. La Maratona trattiene il fiato, quando il centravanti colpisce il pallone di destro. Collo pieno. L’ impatto si ode su su fino all’ ultimo gradino della curva. La palla tende la rete e rimbalza in campo. La curva esplode. Giordano come un novello Fidippide corre, sotto la Maratona ad annunciare che la Juventus è in ginocchio, vinta. Diego ha le braccia al cielo. Sollevato sul prato di una spanna da Renica che lo cinge da dietro. Il sorriso da fanciullo. Un’ immagine eterna. Quelle maniche un po’ più su un po’ più giù Il delirio ovunque. Le tribune sono silenziose. I vessilli azzurri sventolano a due metri dai loro profili impietriti. Il Comunale come la Bastiglia. Una presa. Poi segna Volpecina, nel delirio di uno stadio che è la Santa Barbara delle emozioni. Belle, brutte, meravigliose, orribili. Il Napoli vince a Torino, ventinove anni dopo. Il resto è storia. Affidata alla storia dei racconti. Dentro le maniche arrotolate del tempo.
Stefano Iaconis
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