Definirlo terremoto è riduttivo. È uno shock paragonabile al venerdì nero del 1929. Il calcio rischia di non essere più lo stesso. Al quartier generale della Uefa l’allarme rosso è scattato alle
Il piano è pronto, dodici club lo avrebbero già sottoscritto: sarebbero sei inglesi (United, Chelsea, Liverpool, Arsenal, Tottenham, c’è incertezza sul Manchester City), tre spagnole (Real, Barça e Atletico), per l’Italia Juventus, Inter e Milan. Ne sono previsti sedici, c’è chi dice venti. Siamo, di fatto, alla scissione. Non hanno aderito, per il momento, Francia e Germania.
Ma in questa storia il risvolto nazionale è decisamente di minore importanza, come conferma il New York Times che da ieri pomeriggio ha la notizia in apertura dello sport, per non parlare degli interventi di Boris Johnson, Macron, del Governo italiano. Il colpo di stato calcistico è stato programmato proprio nella settimana che avrebbe dovuto condurre alla presentazione della nuova Champions con cento partite in più per accontentare gli appetiti televisivi dei grandi club. Ma non è bastato.
Ieri mattina, Ceferin ha convocato d’urgenza la war room. È andata in scena la grande paura di quello che può essere denominato l’attacco finale. «Può succedere da un momento all’altro», ripetevano preoccupati gli alti dirigenti Uefa. Il tam tam nei corridoi accreditava la versione di Ceferin che, secondo alcuni, avrebbe sbagliato a fidarsi di Andrea Agnelli che lo avrebbe più volte tranquillizzato sulle reali intenzioni dell’Eca e soprattutto dei grandi club. Il presidente Uefa veniva descritto come intrattabile.
Business is business. Segue altre regole di comportamento. Non conosce amicizie, né legami. La fibrillazione si è trasferita persino all’Unione Europea pronta ad approvare un provvedimento in cui viene messo nero su bianco che le uniche manifestazioni riconosciute sono quelle approvate dalla Uefa. In soldoni, dichiarare fuorilegge i club scissionisti. Non
Il motto resta quello reso celebre da “Tutti gli uomini del presidente”, il film sullo scandalo Watergate: follow the money. E i soldi seguono i diritti tv che a loro volta seguono lo spettacolo che segue i fuoriclasse. Come alla Fiera dell’Est di Branduardi: il topolino comprato per due soldi rischia di essere il calcio tradizionale.
Real Madrid-Elche può piacere ai romantici in perenne attesa di Davide che batta Golia. Ma attrae decisamente meno pubblico rispetto alla garanzia di assistere a Real Madrid-Manchester United. Non è un caso se recentemente, in un’intervista concessa ad Athletic, Mino Raiola (nemico giurato della Fifa) ha buttato lì una provocazione che un giorno potrebbe diventare realtà: le sfide tra scuderie dei procuratori, immaginate una partita Raiola contro Mendes. Farebbe il botto di sponsor e audience tv.
La Uefa, così come la Fifa, si basa su un equilibrio precario. Sono gli architetti di un’impalcatura che si regge su manodopera finanziata da altri. Gli altri sono i club. Che ormai hanno acquisito consapevolezza della propria forza e da anni spingono in maniera decisa.
E in Italia? Ieri la Lega Serie A ha convocato per le 12 un consiglio d’urgenza che non ha deciso nulla. La linea emersa è stata quella improntata all’attendismo: “vediamo che succede”, perseguita anche da club come Atalanta e Verona. Forse non è chiaro che se la Uefa dovesse squalificare Juventus, Inter, Milan e Roma dalla Serie A, il nostro sarebbe un campionato con
A cura di Massimiliano Gallo (CdS)