E non solo per il bene della Fiorentina. «Nella vita di ciascuno, oltre che alle cose belle, si accumulano scorie, veleni che talvolta ti presentano il conto tutto assieme. In questo momento della mia vita mi trovo in un assurdo disagio che non mi permette di essere ciò che sono». Cesare Prandelli si dimette per la terza volta nella sua storia dopo averlo fatto intuire a Benevento quando parlò del «vuoto dentro» che sentiva. Il calcio è ormai un frullatore di cervelli. E’ successo ad Arrigo Sacchi, Guardiola, Luis Enrique. Non si sa ancora se Prandelli tornerà su una panchina, se ne avrà ancora voglia. Al momento, l’impressione è che ha bisogno di rimettersi al centro di se stesso. Scrive ancora nella lettera con cui saluta la Fiorentina: «Sono venuto qui per dare il 100%, ma appena ho avuto la sensazione che questo non fosse più possibile, per il bene di tutti ho deciso questo mio passo indietro. Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più. Sicuramente sarò cambiato io e il mondo va più veloce di quanto pensassi. Per questo credo che adesso sia arrivato il momento di non farmi più trascinare da questa velocità e di fermarmi per ritrovare chi veramente sono». È evidente che sia stanco. Se ne va perché non ne può più. Non dovrebbe essere l’unico della Fiorentina ad andare via. Tornerà Iachini. Non ha mollato, Prandelli, per la sconfitta con il Milan. Ha capito che era il momento di chiudere. Scelte. Si è dimesso da gran signore quale è e che non si scopre solo adesso. «Sono consapevole che la mia carriera di allenatore possa finire qui, ma non ho rimpianti e non voglio averne», chiude la sua lettera. E tutto il calcio italiano dovrebbe fare il tifo per un suo ritorno in panchina. Come Dino Zoff. «Questo mondo ha ancora bisogno di uomini seri e preparati come lui».
Prandelli, non di certo una resa, ma una scelta: quella di un signore
Poteva dimettersi e basta. Invece Cesare Prandelli ha voluto spiegarne il motivo. «Questo forse non è più il mio calcio». Non c’è acidità nelle sue parole, solo tristezza, malinconia per un’avventura che è stata talmente viscerale da portarlo a dover lasciare. Adesso.
P. Taormina Il Mattino