Quel 17 marzo di trenta anni fa, i tifosi azzurri non potevano neanche immaginare che non l’avrebbero più rivisto al San Paolo. Quell’ assist per il gol di Zola in Napoli-Bari fu l’ultimo atto di Maradona nello stadio che adesso ha il suo nome. Diego fu chiamato all’ antidoping. Poco meno di una settimana dopo, tracce di cocaina. Era tutto finito. Era stato uno dei due estratti. Aveva cominciato a dare pugni alla porta. Sapeva che sarebbe stato scoperto.
Sanzione pesante: Maradona squalificato fino al 30 giugno del 92. La verità, forse, è che era venuta meno la rete di protezione. Dodici anni dopo – 11 settembre 2003 – Ferlaino rivelò in un’intervista a Toni Iavarone: «Venni al corrente che si adottava un trucco: se qualcuno era a rischio gli si dava una pompetta contenente l’urina di un altro, l’interessato la sistemava nella tuta e nella sala metteva questa urina nella provetta. Quel giorno del 91 Moggi aveva chiesto a Maradona se andava tutto bene e lui aveva detto di sì». Probabilmente prima c’era chi abilmente evitava che venisse scoperto positivo all’antidoping. Dopo quella intervista al Mattino Maradona, ricoverato a Cuba per disintossicarsi, minacciò di querelare Ferlaino. «Io non volevo accusare nessuno, avevo raccolto voci», puntualizzò l’ex presidente. Quando si rividero, non ne parlarono: li univano per fortuna soltanto i ricordi più belli.
Il Mattino