Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Trappola per genio”

I lembi del cappotto svolazzanti, nel gelo di un vento di tramontana che spira dal mare levantino, il naso imponente, come un sestante a guidare la rotta dei suoi da bordo campo, Gaetano Salvemini urla cercando di coprire altre urla, quelle dello stadio. Il suo Bari sta vincendo per una rete a zero. Contro il Napoli delle meraviglie, quello di Careca, di Carnevale, di De Napoli. E di lui, Diego Armando Maradona. Il genio. Che Salvemini ha intrappolato nella lampada. Lo ha infilato, all’inizio della partita, dentro il becco ad imbuto, spingendo forte, imprigionandolo. Il genio, pur sfregando con il suo piede sinistro, non riesce a venir fuori. Salvemini sembra uno stregone antico, il profilo da uccello, un nero predone delle arti magiche occulte. Ha intessuto una tela, sul prato del San Nicola, una tela che ha fermato gli azzurri. Invischiandoli in una trama dove il suo Bari, come un ragno, dalla puntura letale, sta rinchiudendo il Napoli in un bozzolo setoso di torpore. Monelli, dopo sette minuti appena, controllando la palla con un movimento galeotto del braccio, ha infilato Giuliani, con un colpo di esterno sotto la traversa. Lo stadio era venuto giù. Poco dopo Carrera si era divorato il raddoppio. Sarebbe stato il colpo del k.o. Salvemini, dal bordo del terreno di gioco, muove i suoi orchi che stanno a guardia del genio. Lo seguono attraverso il campo. Ne pestano le orme. Lo tengono tra loro. Loseto e Terracenere, i due orchetti del pomeriggio barese. Maradona viene asfissiato. Quando prova ad andar via, quelli allungano le mani, mulinano le braccia, vorticano le gambe. Gli entrano nella casacca, lo tirano, gli alitano sul collo. Rosario Lo Bello, arbitro inflessibile, chiude un occhio. E sulla curva, dove sta infreddolito ed attonito il manipolo di napoletani arrivato nel capoluogo ignaro della trappola preparata per gli azzurri, il silenzio fa da strano contraltare al chiasso di uno stadio che spinge il Bari all’ impresa. Salvemini corre lungo la linea, quando Maradona spinge avanti la palla, in un attimo di respiro concessogli dai suoi due carnefici. Loseto pare battuto sulla corsa, annaspa, ma arriva Terracenere, in una nuvola di terreno ed erba sollevata. Diego sale in aria, poi atterra, in ginocchio. Allarga le braccia. Lo stadio, allora, inneggia agli orchi, al mago dal naso come un sestante. Si fiuta aria di giorno che verrà. Il Napoli si guarda intorno smarrito. Il suo piccolo genio percuote le pareti della lampada, cerca la strada che lo porti fuori, ma il suo sinistro è preda del sortilegio del mago dalle vesti lambite dal vento. Un vento amico. Maradona si libera, e quello gli sposta via la palla un momento prima che possa fuggire via dal beccuccio stretto stretto. Careca, lo scudiero del piccolo genio, immalinconisce nel sentiero che non brilla del fuoco acceso dal suo maestro. Carnevale vaga attraverso il prato, un bimbo sperduto che ha perso il suo Peter Pan. Salvemini ha disegnato una trappola per il genio. Agatha Christie ci costruirebbe un giallo teatrale da novanta minuti. Due tempi ed un finale. Ma il genio ha dalla sua i finali delle fiabe. Sempre a lieto fine. E così accade che l’orco Terracenere, mentre l’altro sgherro Loseto azzanna il pibe, in un eccesso di furia agonistica, lo falci da dietro. Proprio di fianco alla linea dell’out. Lo Bello, quello che qualche mese dopo, in una primavera indimenticabile, rinverdirà i fasti nefasti della fatal Verona, infierendo sul Milan, mentre il Napoli maramaldeggia a Bologna, decide che è tempo di mettere ordine nella logica delle cose. Il suo cartellino rosso manda l’aguzzino barese a subire l’ira di Salvemini, e sfrega la lampada liberando il genio. Che affrancato dall’ ossessione, trova la strada per fluttuare fuori dalla lampada in una nuvola di fumo, e sedersi sul prato del San Nicola. Ed allora Careca vede brillare di luce quel sentiero, Carnevale ode di nuovo il bangeran di Peter, ed il Napoli si libera dalla tela del ragno. I lembi del cappotto di Salvemini si richiudono di scatto, come a non voler guardare, quando Maradona inventa un prodigio dei suoi. Ad una manciata di minuti dal termine. Sulla linea di fondo. Solleva la sfera in palleggio, e, con una sforbiciata incredibile, consegna un assist per la testa di Carnevale, appostato sul secondo palo. Il Napoli pareggerà quella partita. Era il 10 dicembre del 1990. Il giorno in cui il genio uscì fuori da una trappola tesagli da uno stregone e dai suoi due orchi. Come in una favola.

Stefano Iaconis

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