Mentre il pollice della mano destra sta torturando quello della sinistra, il linguaggio del corpo di Rino Gattuso lancia in quel micro universo che lo circonda l’inequivocabile segnale di un tormento interiore: gli allenatori sono uomini soli, da sempre, e stavolta, intorno e sopra quella panchina, il senso dell’isolamento s’avverte nitidamente. Cì sono altri novanta minuti per provare a respirare un pizzico d’aria pura, per sentirsi almeno per una notte «eroi» dopo aver subito il martirio del campo: e stavolta, in quest’ennesima notte in cui Gattuso si ritrova catapultato tra le ombre alimentate da se stesso e da dodici sconfitte, prima di andare a scoprire cosa gli abbia riservato il destino, la scelta di campo è rappresentata anche scenicamente dalla fierezza con cui fa da scudo al «suo» Napoli, per tutelarlo e spingerlo oltre la nebbia.
Momenti duri, Gattuso. «Le critiche sono meritate e bisogna accettarle. E io so anche che, in quanto allenatore, devo assumermi gran parte delle responsabilità. E’ giusto pure che venga massacrato. Però, prendetevela con me ma lasciate tranquilli i ragazzi, ai quali va il mio grazie per l’impegno che stanno profondendo: andare in campo ogni tre giorni non è semplice».
E’ una serata da sentenza: dentro o fuori. «E mi viene da ridere quando sento dire che qui si facciano calcoli: le difficoltà ci sono, ne siamo tutti coscienti, ma il Napoli va in campo per vincere. Rappresentiamo un club che ha una sua Storia, indossiamo una maglia fantastica, viviamo in una città meravigliosa e vorremmo offrire ai nostri tifosi soddisfazioni che non riusciamo a cogliere per vari motivi, e abbiamo il dovere di provarci. Ho letto negli occhi dei mie calciatori che loro hanno la stessa convinzione: non sarà facile, certo, ma si può tentare, anzi si deve».
Con una squadra ancora una volta inedita. «Abbiamo Koulibaly e Ghoulam, che hanno già giocato a Bergamo, perdiamo Osimhen e ritroviamo, ma dalla panchina, Mertens, che ha non tanti minuti di autonomia nelle gambe, avendo sostenuto solo due allenamenti. Vedremo se ci sarà bisogno di lui nel corso della partita, altrimenti facciamo con quelli che siamo».
I risultati pesano come macigni. «Bisogna migliorare le prestazioni, perché ciò che creiamo non basta. E’ un momentaccio anche per gli incidenti ma è inutile tornarci su e parlarne: adesso bisogna passare ai fatti. Dalla squadra mi aspetto che con il Granada ci sia un impatto diverso rispetto alla gara di andata, quando abbiamo regalato loro le giocate che gli riescono meglio. Bisogna saper leggere le situazioni e, come sostengo da sempre, saper annusare il pericolo».
Se ne stanno andando tutti gli obiettivi, intanto. «Però, dobbiamo anche valutare in quali condizioni sono maturate le sconfitte. Noi e la Juventus siamo i due club che hanno giocato di più, non c’è mai stato il tempo di potersi allenare come si dovrebbe e questo ci ha sottratto la possibilità di intervenire sugli errori. In termini di organico, viste le assenze, siamo con l’acqua alla gola. Però, stiamo stringendo i denti. Siamo riusciti a raddrizzare qualche partita con gli innesti dalla panchina, poi siamo rimasti in pochi».
Vi servirà un’impresa… «Dovremmo essere bravi a non concedergli campo. Sfidiamo un avversario che non molla mai, però neanche noi intendiamo farlo. Nel calcio non si sa mai quello che può succedere, a volte basta un episodio per cambiare il corso di una partita. Noi andiamo a giocarcela».
Antonio Giordano (Cds)