L’editoriale di A. Barbano – “Cambiare un tecnico è sempre un rischio, tanto più se era stato assunto per ricostruire un ciclo sportivo. E tanto più se, come quest’anno, si gioca ogni tre giorni, e chi arriva non può garantire in un tempo così stretto un’inversione di rotta. Ma che cosa rischia di perdere, che non abbia già perduto, il Napoli, se licenzia – come molti invocano – Rino Gattuso? La Supercoppa e la Coppa Italia sono sfumate, l’Europa League è appesa a un filo, e una postazione Champions, la quarta perché le prime tre non sembrano contendibili, è tutt’altro che garantita da una squadra che nell’ultimo mese ha perso cinque volte, pareggiato una e vinto solo tre.
Al punto in cui sono, gli azzurri hanno poco da perdere e molto da osare. Non tanto per i risultati, che pure sono stabilmente sotto le aspettative. Non tanto per il gioco, che è ormai inconsistente. Nelle ultime tre partite il Napoli ha fatto un solo vero tiro in porta, ma era il rigore calciato da Insigne alla Juve. Tutto questo potrebbe anche essere la fotografia di un momento superabile. Ma ciò che rende indifferibile una svolta è il racconto che Gattuso fa della crisi. Dopo la sconfitta di Granada, il tecnico ha detto che nel secondo tempo il Napoli ha dominato la gara, tant’è vero che ha avuto un predominio nel possesso palla, schiacciando gli spagnoli nella loro metà campo. Ma se il Granada arretrava, è perché ha difeso con disinvoltura un vantaggio rassicurante. Quanti tiri in porta ha fatto il Napoli nella ripresa? Zero, se si eccettua un quasi passaggio al portiere di Osimhen. Mentre l’unica vera occasione per segnare l’ha avuta ancora Herrera, con un rasoterra che Meret ha deviato in angolo.
Gattuso invoca la scusante degli infortuni. Troppi anche per una rosa ampia. Ha ragione. Ma che spiegazione dà della condizione sonnambolica di molti dei suoi uomini migliori? Di Lorenzo sembra una larva dell’esterno ficcante che guadagnò una maglia anche con Mancini. Zielinski è un leader dimezzato, che entra nel secondo tempo e vagola sulla trequarti con la vista annebbiata, calciando alle stelle dal cuore dell’area di rigore. Che dire di Lobotka, che sembra aver smarrito la bussola e confonde il Nord con il proprio portiere, a cui preferibilmente consegna ogni palla che può? E Di Bakayoko, il mediano eternamente contratto in un’esitazione, che vale un ritardo su ogni giocata, che sia un passaggio o un contrasto sull’avversario?
Al netto del modulo, un catenaccio ortodosso che costringe Insigne a partire dalla sua metà campo, anziché sfruttarlo nei trenta metri offensivi in cui può fare la differenza, è il carattere la virtù perduta di una squadra fuori controllo. Speriamo di sbagliare, ma Gattuso non sembra avere più certezza di riafferrarne lo spirito, scuoterla e svegliarla. Lo spogliatoio è con lui, ma è con lui come farebbe qualunque comunità smarrita che si rintana nella trincea di un modesto presente solo perché teme il futuro. E il futuro, di partita in partita, si fa sempre più stretto”.
Fonte: CdS