La prima volta che udii il nome di Battara fu in un pomeriggio domenicale piovoso, di quelli che la pioggia ti arriva sferzandoti il viso, portata per mano da un vento gelido. Di quelli che il prato del vecchio, amatissimo San Paolo, era una mappa geografica fatta di fango, fili d’erba e pozze d’acqua, nelle quali il pallone ristagnava dando vita a duelli cappa e spada tra i giocatori. I “Distinti” erano una distesa infinita punteggiata di ombrelli. Sul campo il Napoli assediava la porta di non ricordo bene chi, ma in quel tempo accadeva spesso che il Napoli cingesse d’assedio la porta avversaria, in un assalto spasmodico teso a recuperare il solito svantaggio maturato al solito primo tiro in porta subìto di ogni maledetta domenica a Fuorigrotta. Erano domeniche di sofferenza calcistica. Continue. Uno di quelli ombrelli scrollò via un torrentello d’acqua ed un omino dal viso rugoso, ciuffi radi di capelli lanuginosi sollevati, con un moto di stizza fece: “Oilloche, mo caccia ‘a scienza contro a nuje. Chillu purtiere pare Battara”. Tutti sanno cosa significhi a Napoli, “cacciare la scienza calcistica”. Accade quando una non precisata squadra, creduta di levatura nettamente inferiore, si mette a vorticare improvvisamente sul terreno di gioco, come la grande Ungheria di Puskas ed Hideguti del ’54. O quando un portiere dal nome non prestigioso, si traveste da Tiramolla, Uomo Ragno e Batman assieme. Come accadde con Battara. Pietro Battara era il portiere della Sampdoria. Negli anni in cui i portieri vestivano solo ed esclusivamente di nero, come supereroi, appunto, o come figure catapultate fuori da un mondo popolato di fantasie, il portiere originario di Torino, fu uno dei primi numeri uno a vestire il colore. Il verde, per la precisione. Le sue maglie verdi, con lo stemma doriano in bella mostra, spiccavano sul terreno di gioco, catturando l’occhio quando lui balzava prodigiosamente da un palo all’altro. Battara visse nella fantasia dei tifosi napoletani per sei lunghi anni. Popolando a sua volta quella fantasia di incubi calcistici. Me lo raccontò mio padre, al quale, naturalmente, chiesi chi fosse il Battara citato dall’ omino sullo stadio. Fu così che scoprì la leggenda di quel portiere dalle fattezze hollywoodiane ed il fisico da granatiere. E come, ogni volta che arrivasse a Napoli la Sampdoria, la gente intonasse preghiere votive, elevando offerte a San Gennaro. Alcuni, esagerando, si dice si recassero allo stadio muniti di rosari dai grani giganteschi. Ma questo non è mai stato dimostrato. Perchè Pietro Battara, ogni volta che saliva le scale del sottopasso dello stadio napoletano, si vestiva di un’aura di invincibilità. Sei anni nei quali la Sampdoria rappresentò per gli azzurri una particolarissima nemesi impossibile da sconfiggere. Battara era un fortino. Un bastione incrollabile. La sua “scienza” era archimedica. Una volta Alberto Marchesi storico cronista del Corriere dello Sport, arrivò a dire che ogni volta che Battara giocava contro il Napoli, viveva una di quelle giornate nelle quali era più forte di Zoff e di Albertosi. Parava tutto. Sembrava che la palla fosse respinta da un invalicabile muro eretto dinanzi alla porta doriana. La sua Sampdoria portò via da Napoli, in quei sei anni, quattro pareggi, e due vittorie. In una di queste, dove i genovesi maramaldeggiarono vincendo per tre a zero, il pubblico del San Paolo tributò una clamorosa ovazione al portiere doriano, che uscì dal terreno di gioco a braccia sollevate, ringraziando gli spalti che omaggiavano la sua prestazione. Al Napoli, quel giorno, toccarono fischi e lancio di ortaggi. La sua più incredibile giornata, Battara la visse in un giorno di febbraio del torneo ‘ 70-71. In quella che il portierone piemontese definì la sua partita più incredibile mai disputata. Battara al minuto diciassette, all’ alba dell’incontro, si infortunò seriamente ad un dito della mano. Si rifiutò di essere sostituito e restò sul terreno di gioco per ottantatrè minuti con il dito immobilizzato in una fasciatura rigida. Le parate di quel giorno restarono nella memoria. Una su tutte quando, volando all’ incrocio dei pali, tolse via una palla calciata da Juliano, che pareva impossibile da deviare. Una parata che, se rivista, ricorda per straordinarietà quella di Gordon Banks ai mondiali di Messico ’70. La parata del secolo, come fu definita poi quella del portiere inglese. Val la pena di riguardarle, entrambe. Alla fine della partita Juliano fu visto avvicinare Battara e complimentarsi sulla scaletta che conduceva agli spogliatoi. La leggenda di Pietro l’imbattibile, fu sgretolata da un gol di Braglia, quando il Napoli di Vinicio, finalmente, sfatò il tabù blucerchiato vincendo uno a zero nel ’73. Ma Battara era già andato via. La sua “scienza” rimane intatta. Salta fuori come un tappo di champagne a circondare di bollicine una parata impossibile. Sfregata fuori dalla voce di un tifoso, su quegli spalti, che lo invoca, mentre salta, le mani nei capelli, dinanzi ad un portiere in vena di prodezze. “Uanema, pare Battara”.
Stefano Iaconis