La seconda fase innovativa è all’inizio del campionato, con l’arrivo di Bakayoko e Osimhen, la percezione di poter avere fisicità sulla dorsale centrale, la necessità di darsi profondità in avanti, il desiderio di sistemare tutti i gioielli in vetrina per fonderli in un calcio un po’ ribelle e un po’ scanzonato, però da equilibrare. Quel Napoli è durato un po’, s’è acceso e si è spento, ha infiammato e si è perduto, ha sprecato un tempo della sua evoluzione ed ha subito gli effetti o la maledizione del destino, poi si è smarrito in quaranta giorni da horror, cominciati a San Siro contro l’Inter e sconsacrati imprecando al vento nel 3-1 di Verona. Il pallore di questo inverno gelido – e di cinque sconfitte destabilizzanti – ha rivoltato ancora il Napoli, l’ha prima restituito al 4-3-3 per un attimo e poi l’ha trascinato in una dimensione semisconosciuta, certo poco articolata, non familiare, e quell’ora e mezza passiva, sofferta, con l’Atalanta a ringhiare addosso e in prossimità della trequarti del Napoli. fonte: CdS