Juventus-Napoli è una storia profonda, non solo una partita di pallone. Vale sempre qualcosa, anche quando si affrontarono in serie B davanti a 65mila spettatori, figurarsi quando si contendono una Coppa. La Supercoppa. Eccole lì, ancora una volta faccia a faccia. Dopo Pechino, Doha e le finali di Roma di Coppa Italia dove a giugno scorso gli azzurri hanno recuperato in soffitta l’emozione di vincere. E sette mesi dopo Gattuso vuole dare seguito a quell’emozione e provare a farne un’abitudine. Un’altra Supercoppa, come quella del 2014 o come quella che nel 1990 stava tra le mani (de Dios) di Maradona. Vinta sempre contro di loro, sempre contro la Juventus. Eccole ancora una volta contendersi un titulo, il primo di questa annata che a causa del Covid sembra una dannazione. Gattuso è placido al tavolo della conferenza. Non gli piace di recitare sempre la parte di quello contro tutti. Vero mette il petto ma lo fa per attirare su di sé anche le colpe che non sono sue. Un po’ signor Malaussene. Ma è solo una parte. «Non possiamo pensare che la Juventus di questa sera sia come quella con l’Inter» dice Gattuso meno Ringhio del solito, pesando una a una le parole, dando persino l’incredibile sensazione di star lì a dosare aggettivi e limitare gli avverbi. Le luci sono tutte puntate su Juve e Napoli stasera. E speriamo non ce ne siano bisogno di fortissime, viste la nebbia che ieri avvolgeva minacciosa la zona dello stadio. P. Taormina (Il Mattino)