Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Magic Box”

Dal Vanni Sanna all’arco di Wembley. Passando per il San Paolo. Ed il Tardini. Un viaggio dentro una scatola magica. Attraverso il tempo. Un arcobaleno ad illuminare il cielo del calcio, disegnato con i colori di un pennino intinto in un talento senza fine. Zola, Marazola, Magic box. Per tornare, infine, alle sue origini, in Sardegna, terra di Nuraghi, terra silenziosa, che parla attraverso il mare, capace di cambiare i suoi colori nell’ orizzonte dello sguardo. Guizzando nel salto delle pozze disegnate dal sole, in uno spazio minuscolo. Come un dribbling di Zola. Ci tornò Zola, in Sardegna, al tramonto della carriera, un tramonto dove quell’arcobaleno scintillò fino all’ ultimo, senza mai spegnersi, vestendo la maglia di quel Cagliari, del quale è stato eternamente innamorato, che non seppe riconoscere, in quel metro e settanta scarso di prodigio, le stimmate del fuoriclasse. Zola fu scartato dagli eredi di Gigi Riva. “Troppo piccolo, e fisicamente leggero”, dissero. A Cagliari segnò un gol rimasto storico, quando di testa, sebbene piccolo e leggero, buggerò il gigantesco Zebina, in un Cagliari Juve 1 a 1. Così, Gianfranco Zola, da, Oliena, approdò alla Torres. Da bambino si allenava con un muro. Ore ed ore, a giocare palleggiando con il suo amico di pietra. Fino a sera, quando sua madre Nennedda lo chiamava per cena. Quando non c’era il pallone Gianfranco accarezzava i tasti d’avorio di un pianoforte. Calcio e musica, un binomio indissolubile. Perchè il calcio sa essere musica. E quello di Zola era travolgente, come una sonata di Beethoven. Vibrante come una fuga di Bach. Geniale, come solo Mozart può essere. La Torres militava in serie C. E furono mirabilie, immediatamente. Al Vanni Sanna ancora sospirano, ricordando il minuscolo sardo con i numeri di Pelè. Anzi, di Maradona. Erano gli anni di Diego, di un Napoli sorto dalle profezie di un incantatore argentino, del suo sinistro fatato, anni di paragoni che parevano irriverenti. La Torres sfiorò la serie B. Sassari visse una parentesi di passione sinfonica. E lì, a Sassari, l’ uomo che governava il mercato del calcio, in Italia, lo vide, e se ne innamorò. Luciano Moggi mise sotto contratto Zola. Al cospetto di Diego, il Re, per due miliardi. Zola e la sua timidezza. Quel suo modo di essere schivo, silenzioso, nella città dove tutto è iperbolica comunicazione e suono. La prima volta che si presentò alla partenza per il ritiro, non salì sul bus. Si fermò di sotto a guardare i suoi compagni di squadra che salivano: Careca, Alemao. Se ne stette lì, immobile. Un nurago scolpito nella pietra dell’emozione, finito nella terra dei ciclopi del calcio. Lo vide Crippa, e lo andò a prendere. A Napoli vinse il suo unico scudetto. Anche se lui dice che ne ha vinti dieci, perchè uno vinto a Napoli, ne vale dieci vinti altrove. In allenamento i suoi occhi divoravano Maradona. Il suo talento, come una scintilla al cospetto del legno più pregiato, divenne fiamma. Il suo gioco conobbe la raffinatezza di uno studio continuo alla scuola del calcio. Un solfeggio ripetuto. Allenamento. I suoi dribbling strettissimi, divennero via via più audacemente complessi. Imparò a trovare spazi dove spazio non esisteva. Allargò il territorio del suo pensare calcistico, come solo Maradona era capace. Sul prato, le sue movenze, richiamavano l’argentino. Segnò due gol, l’anno del titolo 89-90. Uno decisivo, contro il Genoa, al minuto 93′. Quel gol tenne il Milan lontano ancora due punti. Che alla fine furono decisivi. Poi Diego andò via, nel torbido finale di una avventura impossibile da ripetere, e lui, Zola, si prese il Napoli. Il suo assolo, arpeggiava le note antiche di sonate già ascoltate. Solista nella città dei suoni, nell’orchestra azzurra ora orfana del suo direttore fatato. La gente prese a chiamarlo Marazola. Come un destino planato a condurre per mano il Napoli attraverso l’usura del ricordo, la città ricompattò dietro il piccolo sardo il suo entusiasmo. Zola calciava le punizioni, e quando le sue mani si posavano sui fianchi, e quel suo sguardo attento cercava il varco, la folla si agitava. In attesa del prodigio di quel suo piede destro così simile ad un altro piede. Sinistro. Poi arrivò il disastro. Il Napoli, indebitato, fu costretto a cedere i suoi pezzi pregiati. E Zola finì per andar via. In una estate che travolse la storia del calcio napoletano, precipitandolo in serie B. Zola si accasò a Parma. Dove la musica è regina. Un Trovatore sulla via Emilia. In un Parma dei miracoli. Che lui fece ancora più grande. Marazola suonò la marcia trionfale del suo calcio che lo condusse in nazionale. E poi a Londra. A guardare l’arco di Wembley, a vincere la f. a cup. Diventando Magic box.

Stefano Iaconis

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