Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Garellik”

“Garella è il più forte portiere del mondo. Senza le mani”. La frase, restata impressa a memoria imperitura, fu pronunciata da un incredulo Gianni Agnelli, al termine di un Juventus/Verona, partita nella quale Claudio Garella, portiere dal profilo guascone, e dal taglio di capelli che ricordava molto da vicino un elmo rovesciato a catino della guerra ’15.’ 18, parò tutto, ma proprio tutto. Lineamenti da stregone, quando sorrideva ispirava una simpatica tenerezza. Che in campo si trasformava in odio feroce, da parte degli avversari, quando indossava i panni del druido. Come quel giorno. Uno stregone, un Gandalf dei pali, capace di prodigi inauditi. E di far perdere il proverbiale aplomb all’ Avvocato tra gli avvocati. Era l’anno dello scudetto del Verona, il Verona dei miracoli. Il Verona di Bagnoli, l’ ultima squadra a vincere uno scudetto con le designazioni arbitrali stabilite tramite sorteggio. Da allora in poi furono solo polemiche. E calciopoli. Giù giù in una rovinosa discesa agli inferi, fino all’odierno var. Il Verona del “siur” Bagnoli, dai modi operai, che quando si aggirava ai bordi del campo pareva uno capitato lì per caso. Bagnoli che costruì un capolavoro attingendo tra gli scarti della serie A. Quella squadra nella quale come un vero druido munito di vischio, Garella guidò una scanzonata compagnia di prodi alla conquista di un anello tricolore. Veniva da stagioni deludenti. “Paparella”, questo era il suo soprannome. Fino a quella stagione incredibile. Da “Paparella”, in quell’anno magico nel quale il suo nome veniva pronunciato sugli stadi d’Italia con un nota di riverente inquietudine, divenne “Garellik”. Come un vero supereroe. Accadde dopo una partita a Roma, contro i giallorossi. Garella quel giorno, parve toccato dalla sindrome delle mura di Babilonia. Che si diceva fossero inviolabili. Parò qualsiasi cosa si aggirasse dalle parti della sua area. Nemmeno i nugoli di moscerini furono risparmiati, in una sarabanda di interventi da circo, nei quali il portiere dal naso come un promontorio, difese, praticamente da solo, lo zero a zero finale. La stessa cosa accadde a Napoli. Al cospetto di Diego Maradona. Fu nuovamente zero a zero. E furono bestemmie, urla di stupore, mani nei capelli sugli spalti, perchè Garella indossò nuovamente il mantello da supereroe. Le sue parate, mattone dopo mattone, edificarono un titolo leggendario. Proprio a Napoli, vinto il titolo con gli scaligeri, approdò, voluto fortemente da Ottavio Bianchi. Bianchi il taciturno, che ricordava molto da vicino il Bagnoli veronese. Alla corte di Maradona Garella fu protagonista. Quando non bastavano i gol di Diego, arrivavano i suoi interventi. A difendere il sogno di una città che conserverà Garella nel cuore, per sempre. Il portiere originario di Torino, in azzurro, rivinse ancora, anello di congiunzione tra due favole meravigliose in un calcio, quello degli anni ’80 ed inizio ’90, che scrisse pagine di letteratura calcistica. Verona, Napoli, Sampdoria. Garella era agli antipodi di qualunque portiere. Un fenomeno stilisticamente simile più ad un Tiramolla fumettistico che ad un estremo difensore da conservare negli annali del calcio. Parava da seduto, arrivando con i suoi lunghissimi piedi, spesso, assai spesso, dove le braccia non riuscivano. Quando usciva dai pali pareva fosse eternamente in ritardo, invece chissà come, la palla finiva sempre addosso a lui. Mai in porta. Su uno stinco, una gamba, un ginocchio. Mai in fondo alla rete. Pareva un grosso papero, dal giro vita sempre troppo largo, e la posizione tra i pali ondivaga. Ma aveva un riflesso figlio dell’ istinto per la traiettoria. In una frazione di secondo era nella direzione giusta, come se il suo naso avesse fiutato un momento prima dove fosse diretta la palla. Non bloccava la palla, la deviava. La smanacciava via, sollevando un braccio. Una volta parò con il volto, gettandosi a corpo morto. Un’ altra, in un celebre Udinese Cremonese, in rovesciata. Alla Higuita. Era meraviglioso. Geniale. Oggi il suo taglio di capelli non è più eguale. Quell’ elmo rovesciato a scodella è diventato una palla di biliardo. Il giro vita incontenibile. Lo sguardo non ha però perso un’ oncia della sua dolcezza. Il sorriso è ancora quello. Quello di un principe. In azzurro.

Stefano Iaconis

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