Doppio ex Zola: “Maradona mi diede la sua magica 10′ e mi cambiò la vita”

Gianfranco Zola dal 25 novembre, il giorno della morte di Maradona, si era chiuso nel silenzio. «Un dolore troppo grande la scomparsa di Diego, il più generoso dei compagni, oltre che il più bravo». Gianfranco Zola, 54 anni, vive da mesi a Puntaldia, magnifico angolo della Sardegna, la sua terra, e non sa quando tornerà a Londra, dove si è trasferito da tempo. «Ho casa nel Kent, è una delle aree più colpite dalla pandemia. Tutto il mondo procede a vista, non so quando rientreremo e se mio figlio dovrà proseguire nella didattica a distanza». I pensieri e i ricordi si affollano a poche ore da Cagliari-Napoli, la sua partita. A Napoli si è fatto calciatore e uomo, per un anno e mezzo allievo prediletto di Maradona, di cui raccolse l’eredità in una domenica di febbraio del 91. Del Cagliari è stato la stella nella stagione della promozione in A (primavera 2004) e allenatore per dieci partite nel campionato 2014-2015.
Zola, cosa accadde il 17 febbraio di trent’anni fa, prima di Pisa-Napoli?
«Diego godeva a prendermi in giro e quella domenica mi disse: Prendi tu la 10, ma non ti sto facendo un regalo: voglio soltanto avere l’onore di indossare la 9 di Careca. Antonio non c’era quella domenica».
Fu l’investitura, perché un mese dopo Maradona venne trovato positivo al controllo antidoping, disse per sempre addio al Napoli e la 10 diventò sua.
«Il gesto di Pisa mi diede ancora maggiore consapevolezza nei miei mezzi e soprattutto fu un segnale di Diego: abbiate fiducia in questo ragazzo. Fu colto dalla società e dall’ambiente».
Lei e Maradona vivevate nello stesso spogliatoio ma anche in due mondi differenti.
«Non l’ho mai giudicato, se non per quello che accadeva in campo e nello spogliatoio. Lui ti faceva vincere le partite, ma era soprattutto un uomo di grande generosità e profonda umiltà. Unico come calciatore e persona, mai visto un suo atteggiamento prepotente o ascoltato sue parole arroganti. Si rapportava a noi, alla squadra, sempre con assoluta modestia».
Ricorda il vostro primo incontro?
«E chi lo ha dimenticato? Io venivo dalla Torres, una squadra di serie C, avevo 23 anni. Ero timidissimo e non dicevo due parole di fila perché arrivando nel Napoli che aveva appena vinto la Coppa Uefa non avevo tanto da dire… Diego mi accolse così: Finalmente ho trovato uno più basso di me. La tensione si sciolse e via con il primo allenamento. L’incontro con Maradona ha cambiato la mia carriera, sarebbe stata senza dubbio diversa se non ci fosse stato lui. Avevo buone qualità e un buon atteggiamento, ma senza Diego non avrei raggiunto certi livelli».
L’ha pianto molto per questo?
«L’ho pianto perché era un uomo dal cuore grande. Mi sembrò assurda la notizia della sua morte, per tre giorni sono stato in uno stato di autentica depressione. Sapevamo che Diego era a rischio per la sua vita estrema ma chi immaginava che finisse così? Mi ha addolorato la sua morte e saperlo da solo in una stanza nelle sue ultime ore».
Zola, così diverso da Maradona, ha sempre compreso i suoi comportamenti?
«Lui era un uomo capace di fare cose che altri neppure potevano vedere o immaginare. Come Mozart, Ali, Best: personaggi estremi, con una vita che aveva sbilanciamenti».
Ferrara, altro azzurro legatissimo al Capitano, nel suo libro Ho visto Diego e dico o vero ha rivelato il rammarico per non avere provato ad aiutarlo negli anni del declino.
«Ne ho parlato con Ciro. Penso che probabilmente non avremmo potuto fare niente perché non era semplice entrare nella vita di Maradona. Io, poi, non ero a conoscenza di tutte le sue problematiche. Avrebbe dovuto essere lui a concederci la possibilità di aiutarlo. Il suo entourage, forse, avrebbe potuto avere altri comportamenti. Una cosa è certa: non potevi imporre a uno come Maradona un certo stile di vita, un determinato regime. Ricordo quello che disse in un’intervista Fernando Signorini, il suo preparatore atletico, tra quelli che lo conosceva più a fondo: Con Diego uscirei a cena, con Maradona lo farei a fatica. Ma era Diego Maradona e dovevi accettarlo con quella vita che nulla toglie alla dignità e alla bontà dell’uomo».
A Napoli gli hanno subito dedicato lo stadio.
«Lo merita per l’amore che ha dato alla città, per la fedeltà che ha dimostrato a Napoli e al Napoli, pur avendo giocato in altre prestigiose squadre in Europa e in Argentina. La causa dei napoletani è stata la causa di Maradona sempre, fino alla fine».
Nello Stadio Maradona il Napoli ha chiuso l’anno con un pareggio deludente e oggi apre il 2021 in Sardegna, la sua terra.
«Il Napoli sta facendo bene, i risultati sono stati importanti finora. La squadra ha la migliore difesa del campionato ma in attacco paga le assenze di Mertens e Osimhen, assenze che sono molto pesate negli scontri diretti persi contro Inter e Lazio. Quanto incida Mertens lo abbiamo visto in questi anni: i suoi gol, i suoi assist, i suoi guizzi negli spazi stretti. Osimhen aveva appena cominciato: bravissimo se ha campo davanti e anche prezioso, con la sua fisicità, contro avversari che difendono in venti metri. Cagliari e Napoli hanno bisogno di punti per avvicinarsi ai loro obiettivi, aggiungerei più il Cagliari, che è guidato da un ottimo tecnico come Di Francesco. Si parte da posizioni di equilibrio, poi capiremo chi avrà il coraggio di fare la partita».
Gattuso, che da un mese sta nuovamente combattendo contro la miastenia oculare, ha detto ai giovani di non vergognarsi del loro aspetto se hanno un problema fisico.
«Ed ecco perché tanti apprezzano il lavoro e lo stile di Gennaro. Quelle parole danno il senso del valore dell’uomo, non solo dell’allenatore: gli fanno davvero onore».
Il campionato senza pubblico è anche il più equilibrato degli ultimi anni.
«Più piacevole e incerto, con Milan e Inter appena un po’ più avanti rispetto alle altre. E con il Napoli che ha lo stesso grado di competitività delle squadre di Pioli e Conte grazie alla qualità e alla profondità della rosa. Quando vedo le partite, provo a immedesimarmi nei calciatori, nello spirito di chi gioca da mesi senza pubblico. Il calcio è sinonimo di passione, e i tifosi ne sono una componente importante, ma ha dovuto adeguarsi ai traumatici cambiamenti della nostra vita: hanno toccato tutto, ci hanno toccato tutti».
Lei ha smesso di allenare nella primavera 2019, dopo aver vinto al fianco di Sarri l’Europa League con il Chelsea: perché?
«Ho deciso di dare spazio alla famiglia e sono contento della scelta. Il ritorno in panchina non rappresenta un’ossessione e quando avverrà sarò più maturo, anche grazie a quella esperienza vissuta con Maurizio».

F. De Luca (Il Mattino)

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