Maradona – Un defibrillatore avrebbe potuto salvarlo

«CARDIOPATIA TRASCURATA»

Sei, forse otto, ore nel letto di un appartamento non attrezzato per assistere un paziente con gravi patologie. Un defibrillatore avrebbe potuto salvare Maradona se qualcuno si fosse accorto di quel malore che gli sarebbe stato fatale. Ma chi c’era nella casa al Barrio Sant’Andres è ancora un mistero. Pochi giorni fa la magistratura ha indagato Maximiliano Trimarchi. L’autista di Diego che aveva negato la sua presenza quella mattina. C’era, invece, come hanno evidenziato celle telefoniche e telecamere.

Perché ha dichiarato il falso? Per coprire chi o cosa? Dall’autopsia, anticipata dal quotidiano sportivo “Olé”, arrivano conferme di quanto sospettato dai magistrati e dai loro periti. Le analisi su sangue e urine hanno escluso la presenza di alcol o stupefacenti. Ma hanno evidenziato invece tracce di psicofarmaci, quelli di cui Maradona – ex tossicodipendente da tempo dedicato all’alcol, come è stato possibile accertare attraverso numerose testimonianze – faceva uso da tempo. Alcuni di questi farmaci – venlafaxina (antidepressivo), quetiapina (antipsicotico), levetiracetam (antiepilettico) e naltrexone (contro l’astinenza da alcol) – sarebbero secondo i consulenti della Fiscalia di San Isidro “aritmogeni”.

Dunque avrebbero potuto provocare aritmie in un soggetto fortemente cardiopatico. Il cuore di Maradona, che pompava solo al 38 per cento secondo quanto dichiarato già anni fa dall’ex cardiologo di fiducia Cahe, aveva un peso di 503 grammi, il doppio del normale. Eppure, questa grave situazione cardiaca non è stata presa in considerazione dai medici. Che non avrebbero somministrato farmaci necessari contro rischi di infarto.

L’autopsia, iniziata il 2 dicembre, ha confermato che Diego è morto per edema polmonare acuto e riacutizzazione di una insufficienza cardiaca cronica. «È sorprendente che siano stati dati a Maradona farmaci psicotropi e nessuno legato alla sua malattia cardiaca», ha dichiarato una anonima fonte investigativa.

I tre procuratori che conducono le indagini (Laura Capra, Cosme Iribarren e Patricio Ferrari) hanno intenzione di convocare una commissione medica interdisciplinare per analizzare il caso e giudicare se la morte fosse evitabile. Se c’è stata negligenza e se qualcuno dei professionisti coinvolti possa avere avuto responsabilità. Oltre ai problemi cardiaci (miocardiopatia dilatata e aree di ischemia miocardica), nel fegato c’erano tracce di una probabile cirrosi. Nei polmoni hanno rilevato la rottura di sette alveoli e un fuoco con edema intralveolare e nei reni una necrosi tubulare acuta. Fonte: Il Mattino

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