I primi tre mesi di Gattuso sono stati mesi di titubanza e dubbi, di tentazioni e riflessioni. Ed è stato solo da metà gennaio che l’allenatore ha svoltato in maniera netta: a parte la caduta con il Lecce la sua è stata una cavalcata verso la rinascita. A muso duro con tutti, da Mertens ed Allan fino alla prima clamorosa esclusione del brasiliano prima della partenza con il Cagliari. Provarono a lungo in quelle ore a fargli cambiare idea, ma Ringhio non ha mai avuto dubbio sulle cose da fare. Dirà: «Ho provato a fare l’allenatore che misura le parole, ma non lo so fare. Sto male se lo faccio, devo sempre dire e fare quello che ho dentro di me». È stato il lockdown il momento con cui lui e la squadra sono diventati davvero un tutt’uno: non è un caso che nessuno si è mosso da Napoli fino alla ripresa. E in quei interminabili due mesi il Napoli è diventato il suo Napoli. Dal pagamento degli stipendi ai rinnovi, dalla ripresa degli allenamenti alla gestione della quarantena. Lì Ringhio si è scoperto allenatore-manager e ha stregato De Laurentiis che pure qualche esitazione l’aveva. Alla ripresa la vittoria della Coppa Italia è stata l’apoteosi. Come quell’abbraccio in mezzo al campo dell’Olimpico e la promessa del premio che, ovviamente, la squadra fece chiedere a Gattuso. E da chi sennò? Quanta acqua era passata sotto i ponti dalla notte in cui la squadra aveva deciso di ammutinarsi e tornarsene a casa invece di andare in ritiro. La squadra non vola nel finale di stagione, è appagata e stanca anche se sogna l’impresa a Barcellona l’8 agosto ma contro Messi e company manca quella convinzione che voleva Gattuso. Inizia la nuova stagione dove Ringhio è al centro di ogni cosa. Chiede e ottiene il rinnovo di Mertens, l’ingaggio di Osimehn, la conferma di Lozano. È tutto nelle sue mani, sia pure con qualche inquietudine. È l’uomo giusto, nel momento giusto. Firmerà per altri due anni in questi giorni, senza fretta, anche perché ha dovuto attendere un mese prima dell’arrivo delle bozze. Nel mirino ha adesso il passaggio ai sedicesimi di Europa League e il successo nella Supercoppa. Senza perdere terreno dalla zona Champions. E lo scudetto. Ma questo meglio non dirglielo. Pino Taormina (Il Mattino)