L’uomo che ha fatto piangere la Signora è un bambino cresciuto nel mito di Diego, un ragazzo che non ha mai smesso di inseguire i propri sogni, un calciatore che nel pieno della maturità professionale ha ancora voglia di migliorare e puntare in alto. Gaetano Letizia è nato il 29 giugno del ‘90, durante il mondiale, ma senza guastare i piani di papà e zio: quel giorno non c’erano partite. «Mi hanno trasmesso loro questo culto per Maradona – racconta – e appena finiremo questa chiacchierata andrò ai Quartieri Spagnoli, al murale di Diego, per omaggiarlo». Promessa mantenuta, abbiamo la prova fotografica.
Letizia, quello alla Juve è il gol più importante della sua carriera? «Certo. E questo pareggio vale una vittoria, abbiamo fermato la squadra campione d’Italia da nove anni di fila. E per me quest’anno la Juve difficilmente si ripeterà. Abbiamo affrontato Inter, Roma e Napoli: sono più attrezzate perché hanno più soluzioni. Quella di domenica non sembrava la Juve degli ultimi anni: non era quella di Conte e certamente non era quella di Allegri. Per lo scudetto dico Inter e Napoli».
Battuta ferocissima dalla tribuna, sentita da tutti in diretta tv: «… sta arrivando Ronaldo in aereo». Sottinteso: a salvare la Juve. «Appunto. Questa Juve è Ronaldo-dipendente. L’hanno lasciato a casa, convinti di venire a Benevento a fare una passeggiata. Alla fine hanno lasciato punti: il loro errore è stato sottovalutarci».
Torniamo all’1-1: una situazione provata in allenamento? «Proviamo tanti schemi in settimana. Quando c’è un uomo che difende il vertice, Inzaghi vuole sempre una situazione di due contro uno e ci sono andato. Palla scaricata, Schiattarella l’ha messa dentro, mi è arrivata sui piedi e ho cercato la porta senza pensarci due volte».
Nemmeno sulla dedica… «La “m” che ho fatto con la mano era la “m” di Maradona. Solo noi napoletani, come gli argentini, abbiamo sentito davvero il senso di questa perdita. L’ho conosciuto grazie ai racconti dei miei genitori e di mio zio, penso a tutto quello che ha saputo trasmettere anche a noi più giovani che non l’abbiamo visto giocare».
Subito dopo il gol ha detto che la maglia numero 10 andrebbe ritirata per sempre, da ogni squadra. «L’ho detto e lo ripeto: Diego è il simbolo della 10, se pensiamo a quella maglia pensiamo a lui. Il Napoli l’ha ritirata, dovrebbero farlo anche le altre squadre. Lo so che i bambini devono sognare di poter giocare con quel numero, ho sognato anche io ma…».
Confessione: ha giocato anche con il 10? «Certo, pensavo sempre a Diego sapendo che era impossibile diventare Maradona. Se lo dice anche Messi, che non è mica l’ultima ruota del carro come me, dovete crederci».
Mettiamola così: forse oggi si pretende la “10” con troppa leggerezza, in qualunque squadra, prima ancora di aver dimostrato qualcosa. «Vero. Ho visto il ricordo del Barcellona, con Messi che fissava la maglia di Diego in mezzo al campo. Lui oggi è il più forte, è molto più forte di Ronaldo, ma non è Diego».
A proposito di numeri: ma Gaetano Letizia è un 3 o un 2? Cioè: destra o sinistra?
«Mi trovo bene a prescindere, ma a sinistra ho due scelte, posso cercare il cross o accentrarmi andando sul mio piede, il destro. Se gioco dall’altra parte, tendo di più a cercare il fondo. Diciamo che Inzaghi ha due giocatori in uno, anche con la Juve ho iniziato a destra e poi sono andato a sinistra. Sono duttile, è una fortuna».
La sensazione è che con Inzaghi, nell’ultimo anno e mezzo, Letizia sia diventato più attento anche in copertura. «Vero, ringrazio il mister e il suo staff per questo: abbiamo provato tanto la fase difensiva. A 30 anni sono arrivato nel pieno della maturità ma non si finisce mai di completarsi e di migliorarsi».
Il blitz di Firenze, il pari pesantissimo con la Juve: cosa è accaduto durante la sosta? «Inzaghi è stato bravo a farci lavorare sodo senza farci pesare la brutta sconfitta con lo Spezia. Noi eravamo molto delusi e poi siamo stati criticati da chiunque, al grido di “non sono giocatori da A”. Poi sono arrivati questi due bei risultati e siamo diventati tutti “grandi”. Nel calcio bisogna essere equilibrati. Abbiamo compreso gli errori, abbiamo dimostrato di sapere essere una squadra compatta».
Una squadra pronta anche ad arginare CR7. «Lo volevo incontrare dal vivo, dopo averlo visto alzare tante volte la Champions in tv… E per tutta la settimana mi ero preparato, ho ancora tanti video da studiare: me lo sarei trovato spesso nella mia zona di copertura…».
Cento gare di campionato con il Benevento, quarta stagione in giallorosso: un veterano.
«Qui sto bene, mi sento parte di questa famiglia. C’è una società sana, che vuole emergere e che merita tanto. Un presidente come Vigorito lo hanno pochi club in A. A fine gara ci ha fatto i complimenti, per i punti ma soprattutto per la prestazione. Lui vuole che sudiamo per la maglia. Noi abbiamo cercato di giocarcela, pur con le nostre difficoltà. E vi dico che alla fine il punto sta più stretto a noi che a loro…».
Ora due trasferte: il Parma e l’incrocio con l’ex De Zerbi. «Per noi sono tutti scontri diretti, nel senso che proviamo sempre e comunque a fare la partita. Se giocassimo oggi con la Roma, porteremmo a casa il risultato. La differenza è che prima ci allungavamo subito, adesso riusciamo a essere più compatti. Giochiamo quando possiamo farlo, ripartiamo quando c’è da stare più attenti. A Parma e con il Sassuolo proveremo a toglierci altre soddisfazioni».
Ettore Intorcia (CDS)