Maradona lo videro comparire in un gelido pomeriggio di gennaio al centro di quel campetto che all’occorrenza diventava un parcheggio. Un fazzoletto di terra e fango ricavato tra le palazzine sgarrupate di Acerra, sobborgo proletario a Nord di Napoli dove venticinque anni dopo, tra mille polemiche, sarebbe arrivato il termovalorizzatore.
Colpo da scugnizzo. Fu lì che Diego mise in cantiere il peccato divino. Furto con destrezza, che per il piede sinistro di Dio è un paradosso. Un napoletano, però, non lo freghi così facilmente: «Segnò con la “manita de Dios”, ma gli annullai il gol. Lui riconobbe l’errore e a fine partita si congratulò con me». Il racconto è di Pasquale Castaldo, ex arbitro Figc e ex vigile urbano oggi sessantaquattrenne, chiamato a “dirigere il traffico” in quell’amichevole di beneficenza organizzata a dispetto del parere contrario del Calcio Napoli tra le auto parcheggiate a bordo campo. Poco male. Quel colpo da scugnizzo che gli spianò la strada alla gloria mondiale gli sarebbe riuscito il giorno che contava, un anno e mezzo dopo, il 22 giugno dell’86, nella bolgia dell’Azteca, a Città del Messico.
CAPITANO nel fango
Beppe Bruscolotti, il tignoso difensore che divenne amico inseparabile di Diego e gli cedette con orgoglio la fascia di capitano, quel pomeriggio lo ricorda bene. «Quando Pietro Puzone, nostro compagno di squadra, ci chiese di aiutare i genitori di un ragazzino che doveva subire un intervento molto delicato agli occhi e non avevano i soldi, Diego disse subito di sì. Anche in quel caso dimostrò di avere un grande cuore». Perché Maradona, primo tra gli ultimi, la miseria l’aveva dribblata, ma non per questo dimenticata. «Aveva provato che cosa significava essere poveri, e appena poteva aiutava le persone che avevano di meno. Dava soldi ai camerieri e agli inservienti, ma questo non era niente. Le opere di bene che ha fatto sono stante tante, e molto più consistenti. Ci ha insegnato molte cose, e non solo sul campo», confessa l’ex bandiera del Napoli. Quella generosità il calciatore che portò la fantasia al potere non la risparmiò neanche nel fango di Acerra.
Era un lunedì, giorno di riposo per un calcio che si giocava soltanto di domenica e soltanto al pomeriggio. Quando il pibe si presentò a capo della carovana azzurra su quel campo spelacchiato da Terza categoria, la gente, che non doveva essere poi tanto diversa da quella della sua Lanus, si stropicciò gli occhi prima di credere che sì, il folletto dai riccioli neri che sgambettava tra le auto e dispensava numeri da giocoliere al pubblico accalcato sulle tribune era proprio “lui”. «Era impensabile che Diego potesse andare in un posto del genere, e invece lo volle fortemente. Anche se non c’era il rischio di farsi male, ci raccomandammo con i nostri avversari affinché evitassero entrate dure, ma neanche quella volta Diego tirò indietro la gamba. Pagò di tasca sua l’assicurazione per tutti e scese in campo».
Per il direttore di gara fu un sogno ad occhi aperti. «Maradona fece gol, ma ero in buona posizione e vidi che colpì la palla con la sua “manina”. Quando fischiai, tutti pensarono al fuorigioco, ma io indicai la mano e lui mi diede ragione. Ho raccontato questa storia ai miei figli e ai miei nipoti, non dimenticherò mai quella partita», ricorda con legittimo orgoglio l’ex arbitro. Forse è anche merito suo se Diego perfezionò la beffa sublime. Forse, chissà, un frammento di quella coppa d’oro massiccio che Maradona sollevò al cielo nell’estate dell’86 appartiene al signor Pasquale Castaldo, vigile urbano ad Acerra.
Davide Cerbone (Cds)