Il siparietto più divertente arriva su ITV, con Paul Gascoigne che zittisce Peter Shilton, il portierone inglese che in quel pomeriggio del 1986 era in porta all’Azteca e venne beffato dalla “Mano de Dios”. Sul giudizio di Shilton secondo cui il gol di mano avrebbe per sempre macchiato Maradona, è intervenuto Gazza a piedi uniti.
«Diego è stata un’icona del calcio, è stato un privilegio giocare contro di lui in amichevole – ha detto Gazza – Molta gente continua a tirare fuori la Mano di Dio… ma la realtà, caro Peter Shilton, è che senza Maradona quel giorno non ti conoscerebbe nessuno».
Shilton, scuro in volto, si è limitato a rispondere: «Beh, ho fatto altri vent’anni da professionista dopo l’Azteca…».
Chiaro però che l’ex-numero uno inglese non ha perdonato Maradona. E nel giorno dei tributi dal mondo del calcio – tra cui molti che quel giorno erano in campo contro l’Argentina – la sua è una voce fuori dal coro.
«Nessuno di noi in campo immaginava che Maradona potesse avere il coraggio di macchiarsi di un gesto del genere – afferma – Eravamo tutti impreparati, non poteva arrivare al pallone e così ha deciso di barare. Dopo, è scappato via, ma l’ho visto voltarsi e guardarmi due volte, senza un minimo di vergogna. Forse aspettava la reazione dell’arbitro. Senza quel gesto, avremmo vinto la partita e forse il mondiale».
«Il secondo gol? – aggiunge – Bello, un gran gol. Però non ho dubbi, se non avesse segnato il primo, barando, non avrebbe mai segnato il secondo. Ci ha colto di sorpresa. Su questo non ho dubbi. Ed è questo che continua a darmi fastidio ancora oggi. Non ho intenzione di mentire, voglio essere onesto. Lui ha barato. E non ha solo fregato me, ha imbrogliato tutta la squadra, tutta una nazione, forse tutto il calcio. E la cosa più brutta è che non lo ha mai ammesso, non ha mai chiesto scusa… invece si è sempre nascosto con quella balla della “mano di Dio”. Non ha avuto il coraggio di ammettere i suoi peccati. E questo non è giusto. Sul campo, certo, aveva della grandezza in se. Ma come sportivo, zero».
Shilton è una voce isolata tra gli sportivi inglesi. Diverso il discorso nella stampa britannica in generale. Sono passati 34 anni, ma per una parte – e sottolineiamo, una parte – della stampa Diego Armando Maradona va ricordato soprattutto per un gesto: la “Mano de Dios”. Basta pensare che i maggiori tabloid riportano tutti la notizia della scomparsa in prima pagina e con la medesima foto, quella del gol di mano all’Azteca ai q quarti di finale di Messico ‘86. Chi fa lo spiritoso (il Daily Star: “Dov’eri VAR quando servivi veramente?”), chi cerca di essere poetico (Mirror e Sun a braccetto: “E’ nelle mani di Dio”).
Va giù duro il necrologio del Telegraph che nel primo capoverso scrive: «In una carriera mai priva di drammi ha dimostrato di essere un bugiardo, uno che barava e un megalomane».
Va detto detto che in Inghilterra vi è una netta separazione tra cronaca e sport. E le redazioni sportive, a differenza delle prime pagine, lo hanno generalmente omaggiato, sottolineandone la popolarità, la generosità e, ovviamente, il genio calcistico.
Toccante il racconto di Peter Reid, ex-centrocampista della nazionale inglese, in campo quel giorno all’Azteca.
«Da sportivo in campo non sarei onesto se dicessi che gli ho perdonato il gol di mano – afferma Reid – Però poi sono stato testimone del secondo gol, sono io che l’ho rincorso palla al piede, sono io che l’ho visto allontanarsi sempre di più. E devo ammettere che era un genio, da prendere così, con luci e ombre. Ho avuto il privilegio di frequentarlo anni dopo e mi ha impressionato per il suo carisma, per la sua generosità e per la sua grandezza in tutti i sensi. Abbiamo parlato a lungo di quella partita e siamo diventati amici».
Gli ha fatto eco Gary Lineker, pure lui in campo all’Azteca, oggi presentatore-TV: «Nel 2006, per ricordare l’anniversario, ebbi il privilegio di stare con lui per tre giorni a Buenos Aires. Sono stati tre giorni indimenticabili, straordinari. Veniva trattato come il Messia e, per molti versi, lo era. C’era Diego e c’era Maradona, magari personaggi distinti per certi versi. Uno in campo, l’altro fuori. E magari non erano sempre sulla stessa lunghezza d’onda. Ma per me resta il più grande. Era malato di calcio, malato di pallone, ma era una malattia stupenda, che affligge tutti noi. Gli ho visto fare cose con il pallone che neanche potevo immaginare…». Gabriele Marcotti (CdS)