La «10» di Maradona, ma c’è un’altra maglia che resta eterna, nel nostro calcio: la «6» del Milan di Franco Baresi. «Era Napoli contro Milan in quei meravigliosi anni 80, ma anche Italia contro Argentina. Al San Paolo, in quella semifinale del 1990, era chiaro che Diego era riuscito a fare una cosa unica: perché i tifosi della Nazionale non riuscivano a considerarlo come un vero avversario neppure per la durata della gara. Perché lui non era il Napoli, lui era Napoli. E anche se c’era in palio il Mondiale, l’amore per lui veniva prima di ogni altra cosa. Anche del tifo per l’Italia».
E con lei? «Mi chiese la maglia, e poi disse che era fiero di indossarla perché ero il difensore più forte al mondo. Devo dire che è una cosa di cui io sono sempre andato orgoglioso. La sua stima era sincera, e io devo dire che era lo stesso per me. Non consentivo a nessuno di essere sgarbato con lui».
Cosa la colpiva di più? «La sua abilità, la sua magia, la sua genialità. Poi quando eri al San Paolo, sentivi che si stava avvicinando a te perché aumentava l’urlo dei tifosi. Era un fenomeno, un trascinatore. Un vero leader per tutti. Era il calcio e chi ama il calcio anche se non è tifoso del Napoli non può non dire che come Maradona non ce ne è stato nessuno negli ultimi 50 anni».
Lo avrebbe voluto al Milan? «E chi non avrebbe voluto giocare con quel ragazzo con la maglia numero 10? Un leader autentico, come quella volta che il giorno prima della gara scudetto del primo maggio del 1988 disse ai tifosi azzurri che non avrebbe voluto vedere neppure una bandiera rossonera… Avvertivi il peso di quelle parole, perché lui sapeva come parlare da leader alla squadra e ai napoletani. Fu un pomeriggio incredibile».
Quella volta ha vinto lei e il suo Milan. «Sì, ma solo quel pomeriggio. Poi di dolori me ne ha dati tanti. Non solo la semifinale di Italia 90 ma anche un bel po’ di gol, come quello di testa da fuori l’area di rigore o un altro, straordinario, nell’anno del primo scudetto. Ma lui era un genio del pallone ed è un dispiacere immenso sapere che non c’è più. Lui era il calcio. È un pezzo della storia di questo sport. Mi piange il cuore, è stato un onore affrontarlo, ora continuerà a fare magie e a regalare gioia ed emozione per sempre».
P. Taormina (Il Mattino)