L’editoriale di Antonio Giordano:
“C’è un neo in questa narrazione un po’ contorta ch’emerge del Napoli, capace di trasformarsi da un anno all’altro da squadra ricca d’un talento esagerato e però sprovvista d’una personalità seducente in un’allegra combriccola d’«insubordinati» che quasi diventano «reietti» per insofferenza al rigore tattico. Sembra d’essere dinnanzi ad una scolaresca con la puzza sotto al naso, ragazzi cresciuti perdendosi nella bella società, o a scugnizzi superficiali, semmai persino irrispettosi verso se stessi e quella genialità che in alcuni di loro non appartiene né alle invenzioni e né all’esagerazioni di questo tempo. Quel gentiluomo di Carlo Ancelotti, che in realtà sarebbe anche uno degli allenatori più vincenti ed evoluti di questo mondo e della sua Storia, nel dicembre del 2019, è stato esonerato (anche) per quella sua signorilità, trasformata, e chi l’avrebbe mai detto, in un miserabile difetto: il suo Napoli, imploso inaspettatamente, si sgretolò il 5 novembre, in una notte buia e assai tempestosa, conclusa con l’epigrafe di ammutinamento.
Rino Gattuso, in trecentoquarantotto giorni, è invece esploso già (e almeno) quattro volte, passando dall’ira che l’accecò dopo la sconfitta con la Fiorentina, al rumore sordo dell’amico che strilla nello spogliatoio di Fiume, alla strigliata in pubblico – e in diretta tv – che ha concluso la notte di Ibra, mica pincopallino. E la sensazione che si percepisce da quelle urla è in un «SOS» che sembra voglia arrivare sino a Cristiano Giuntoli o magari a De Laurentiis, per dotarsi d’uno schermo protettivo del quale forse sente il bisogno. Gattuso porta dentro la propria figura una tendenza un pizzico naif, è ricco d’un candore che gli sottrae l’autorevolezza da diffondere in quel Napoli trasformato – in un mese o poco più – da candidato allo scudetto che sopprime l’Atalanta a rappresentazione d’indisciplinati che sbuffano e si irritano per una verticalizzazione poco docile. È la metrica del linguaggio che va adeguata al proprio ruolo. Stavolta, come nel novembre del 2019, è saltato il collegamento interno tra allenatore e ds, c’è un vuoto – nelle funzioni – che va colmato e il resto l’ha fatto, a caldo, quella incapacità di assorbire il bruciore schiacciante della sconfitta, una fiamma che va domata con secchiate d’auto-controllo mica di benzina. Nella rivolta che al termine della sfida con il Salisburgo scatenò una crisi con pochi eguali, si nascondevano diversità e incomprensioni che nel tempo sono sparite, che Gattuso ha contribuito a suturare, che però rischiano di riaprirsi e rigenerare uno scenario subdolo. Allora s’individuarono persino dei leader, si scoprirono le cause, si spalancò comunque un orizzonte fosco, ripulito dalla vittoria della Coppa Italia e da una (apparente?) ritrovata fusione. Ma quel bel tempo è durato niente e il Napoli ha ricominciato a farsi del male da solo, anche tatticamente, ondeggiando tra un sistema ch’è sembrato appagante per far coesistere (pure) Osimhen e Mertens e il desiderio però soffocato di adagiarsi sempre nel tridente, che chiaramente escluderebbe uno dei due. E questi appaiono ora dettagli marginali (e non lo sono). Ma se Gattuso esce dal recinto schematico e toglie il velo su quella che eternamente è sembrata non un’oasi ma perlomeno un’inaspettata eccezione, siamo al procurato allarme”.
A Giordano (CdS)