Sei milanisti imbambolati davanti al suo slalom. E Paolo Di Canio, quel pomeriggio del 27 marzo del 1994, ricordò ancora una volta a tutti che il calcio è estro, colpo di biliardo, il dribbling cercato e vinto, l’impulso che parte dalla testa e comanda il piede. «Il boato dello stadio. Solo dopo un gol nel derby tra Lazio e Roma ricordo un simile boato. Ce l’ho ancora qui nella mente». Di Canio ora è allenatore e opinionista di punta di SkySport.
Di Canio, è uno scontro per lo scudetto? «Sì che lo è. E non importa che Ringhio la prende a male. Lo è perché non ci sono squadre schiacciasassi in circolazione, perché Inter e Juventus che sono quelle che potrebbero dominare non lo stanno facendo e ho la sensazione che non lo faranno. Napoli e Milan non sono così in alto per caso, lo sono per merito, perché sono quelle che fino ad adesso hanno mostrato più coraggio ed equilibrio».
Non può essere una stagione da sorpresa assoluta? «Sì, per questo Gattuso e Pioli non devono mollare. Questo è un campionato dove devi fare i conti su un fattore non irrilevante: ogni due giorni devi fare un tampone, 24 ore prima di scendere in campo può arrivare la notizia che non puoi farlo perché sei positivo. La psiche dei calciatori è costantemente messa a repentaglio. Chi non vuol giocare Napoli-Milan? Eppure non decide solo l’allenatore chi va in campo ma c’è lo stress pure della risposta al test. Non è poco. E dopo quattro mesi è tutto ancora più pesante perché bruci energie nervose. Poi non è che salti una partita e la sera prima esci e fai tardi: no, resti chiuso a casa, blindato a non poter fare nulla».
Lo si vede anche in Premier? «Il gioco del Liverpool è sparito. Vince Klopp ma con le sue individualità. Anfield Road senza tifosi aiuta gli avversari. Magari l’Atalanta che gioca in Champions la prossima settimana lì può provare a rialzare la testa dopo l’incredibile lezione che ha subito nella gara di andata. Che mi ha davvero colpito. Ma è un campionato, quello inglese, dove in tanti sono in difficoltà. Come il Manchester City. Leicester, Aston Villa e Southampton hanno fatto persino meglio di tante big. Con Ancelotti che dopo la partenza a razzo con l’Everton deve rialzare subito la testa per non rovinare tutto. Anche se lì pesa molto il rendimento di James Rodriguez che appena il clima è divenuto più inglese è quasi sparito di scena…».
Al Napoli sarebbe stato una star? «Ora scendono gocce di pioggia grandi come palline di tennis in Inghilterra, i difensori fanno scivolate di dieci metri. In serie A si gioca a un ritmo più basso. Tant’è che Ibrahimovic, Ribery e Pedro sono pedine praticamente intoccabili per Milan, Fiorentina e Roma».
Gattuso e Pioli, un bel duello anche personale? «Hanno preso le squadre in corsa, hanno avuto il tempo di studiare giocatori, ambiente e società. Pioli doveva andar via, poi hanno capito al Milan che facevano una cavolata e così quel processo di crescita con i giovani va ancora avanti. E il Napoli? Ha puntato sulla credibilità di Gattuso. Si è fatto prendere Osimhen che è quell’attaccante che cambia le caratteristiche della squadra. Ma il capolavoro lo ha fatto con Lozano: 40 milioni buttati sembravano. Lui lo ha preso, lo ha sfondato ma con la sua purezza Ringhio gli ha fatto capire che non ce l’aveva con lui, ma che era solo per il suo bene».
Senza Osimhen si potrebbe rivedere Mertens falso nove? «Non lo rifarei, ma è possibile. La fisicità di Bakayoko e le condizioni di Fabian consentono ogni soluzione. Ringhio sta costruendo meccanismi e giocate diverse con il 4-2-3-1 ma è ovvio che calciatori come il belga non avrebbero difficoltà a ricordare giocate codificate nel tempo. D’altronde, l’asse che conta è quello tra Insigne e Mertens che si conoscono come le loro tasche».
Il capitano del Napoli ha stregato anche con l’Italia. «Colpisce la sua freschezza nella testa e nella gamba. La sua felicità è evidente. Certo, è questa Nazionale che riempie di orgoglio. Nel Napoli ha patito sempre quello di essere uno di famiglia, cresciuto nel settore giovanile, quello a cui si vuole più bene di tutti ma proprio per questo non si perdona mai nulla. Ho l’impressione che sia uno dei pochissimi campioni che sta avendo beneficio dal giocare con gli spalti vuoti, soprattutto al San Paolo. Dove magari anche un piccolo errore te lo facevano pesare in maniera spesso esagerata. Mentre poi vicino a te c’è uno, come Mertens, a cui invece viene perdonata sempre ogni cosa».
Insigne può essere l’arma in più per la lotta per lo scudetto? «Corre e rincorre. È acceso. Se gioca come con la Polonia e la Bosnia anche col Milan infiammerà il Napoli. Ovvio, se continua così, farà la differenza in un campionato che, ripeto, è senza padroni. La Juve dipende da Ronaldo e la rivoluzione di Pirlo non mi sembra che abbia già messo radici. L’Inter potenzialmente ha 23 calciatori titolari, ma Conte è vulnerabile ed è sempre sotto tiro. E se non passa il girone di Champions, sarà un macigno pesantissimo per la stagione».
Un tuffo nel passato: 27 marzo del 1994. «Quel gol al Milan è stato tra i più belli della mia carriera. Sterzate e controsterzate e il pubblico che accompagnava ogni mio gesto. Sentivo l’attesa per il mio tiro. Non li delusi».
Pino Taormina (Il Mattino)