Amarcord – Rubrica di Stefano Iaconis: “Non camminano più soli”

Il ricordo è la pellicola di un film. Scorre piano, fotogramma dopo fotogramma, e si ferma lì, dentro quell’ attimo nel quale l’ uruguagio dalle fattezze indiane, lancia nel varco tra i due guardiani vestiti di rosso, il piccolo argentino dalle movenze dinoccolate. Un colpo di testa, una rasoiata netta, affilata, precisa, che disegna una linea perfetta, la direttrice lungo la quale viaggia un momento che sa di irripetibile. Di storia. La prima volta ad Anfield Road, Liverpool, la prima volta nel tempio dove la magia del football ha il suo genio fatato. La prima volta del Napoli dopo la notte del Bernabeu, molti, molti anni prima. Ancora, quella volta, con un argentino a tracciare linee nella storia del club. Il ricordo è un film dalla regia sapiente. Ha la sua bellezza mai sdrucita dagli anni. Conserva nitida la luce ancora illuminata dalle stelle notturne nella sera del nord Inghilterra, dove il cielo appare più vicino alla terra, e rende quella luce ancor più forte. La prima volta nella quale realizzi un gol dentro una delle fortezze inviolabili del calcio europeo dopo molto, moltissimo tempo, non puoi scordarla. Resta eterna, indimenticabile. L’ uruguagio e l’argentino che danzano il medesimo tango figlio delle loro terre. Così vicine, così eguali. Fiere rivali, eppure sorelle. Cavani mette il Pocho Lavezzi dentro quel varco e l’argentino che al San Paolo il popolo azzurro chiama con il coro di Diego, mutuato per lui, ora, fila via veloce verso la porta di Pepe Reina. Il Napoli resiste, fino a quel momento. Zero a zero. E’ vero, il Liverpool è già qualificato, e schiera le seconde linee, al sabato seguente ci sarà la sfida contro il Chelsea. E’ vero, non è oramai da tempo, l’ imbattibile Liverpool di tempo addietro. Ed è vero che quello con il numero otto sulla schiena, il capitano, il Re di Anfield Road, Steven Gerrard, se ne sta seduto in panca, le braccia conserte, a guardare la partita. Tenuto fuori, come già all’andata, quando a Napoli finì con un pareggio a reti inviolate, e lui non partì neppure dalla città dei Beatles. Ma Anfield è sempre Anfield. Poco prima, all’entrata in campo, you’ ll never walk alone è salito altissimo ad accompagnare i reds. E quelli in azzurro hanno sentito un brivido percorrergli la schiena. Qualcuno avrà guardato la Kop, la mitica gradinata colorata di rosso, ed il cuore avrà scalato un battito. Pensando a dove questa squadra è riuscita ad arrivare. Dopo anni di sofferenze. E quando Lavezzi parte, in velocità, prendendo due metri di vantaggio ai due colossi in rosso, lo spicchio drappeggiato di blu che ospita i tifosi napoletani ha un sussulto. Tutto Anfield trattiene il fiato, perfino la Kop smette di cantare. Le stelle si fanno più vicine, si sporgono dal cielo, ed il manto nero crivellato dalle nuvole del nord, si inclina con il suo bordo fino a sfiorare la terra. Lavezzi entra in area e poggia con il destro la palla nell’ angolo lontano dove Reina, proteso con il piede non può mai arrivare. Il Napoli in vantaggio. Ad Anfield. Nel tempio. Ed il pandemonio abita quell’attimo. Nel quale tutti fanno grappolo intorno al Pocho issato sui cartelloni, le braccia lungo i fianchi a ricevere l’abbraccio dei suoi compagni. E del tifo azzurro che urla impazzito. Lasciando che la sua voce di disperda nel cielo del Lancanshire. Coprendo perfino il mantra di you’ ll never walk alone. Poi il Re, quello con il numero otto rosso fiammante sulla schiena, si levò dalla panchina. Come un dio terribile. Steven Gerrard largheggiò per il prato del suo stadio. E ne fece tre. Battendo il Napoli praticamente da solo, in un secondo tempo nel quale gli azzurri persero la freschezza mentale del Davide che nulla ha da perdere, al cospetto del gigante, e finirono per uscire sconfitti. Ma nacque lì. Nacque quella sera, al cospetto dello stadio nel quale aleggia la leggenda, la storia recente del Napoli. Nacque lì, dentro quel colpo di testa di Cavani che mise Lavezzi in porta. Da quella volta, anche il Napoli non cammina più solo, come canta la Kop. Perchè poi gli azzurri tornarono a Liverpool. Ed ancora. Accompagnati da un nuovo destino.
a cura di Stefano Iaconis
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