All'”HELP” del calcio il governo ha nicchiato, ma il mondo del pallone deve collaborare

Il calcio non può chiedere aiuti se prima non taglia i maxi-costi

La situazione è seria, il calcio rischia il default Comincia a serpeggiare un certo nervosismo anche fra i giocatori. L’isolata protesta social del laziale Luis Alberto è soltanto la punta dell’iceberg. Si grida al lupo! al lupo! con l’obiettivo di attirare l’attenzione del governo. Ma il lupo c’è davvero? Sì, c’è, eccome se c’è.


Per la sola Serie A si parla di una perdita di 600 milioni. I mancati ricavi derivano dalle porte chiuse, dalla freddezza e dalle difficoltà degli sponsor, dal calo del merchandising e dal mancato pagamento dell’ultima rata dei diritti televisivi. In realtà, l’assenza di pubblico è il minore dei mali per le società italiane, più rilevante all’ estero. Eppure, nessuno dei campionati maggiori del resto d’Europa ha finora osato pietire. Da noi di Serie B e, soprattutto, Serie C se ne occupano in pochi.  Il
calcio italiano rischia in effetti il default, perché si regge su fondamenta fragili. Nelle lettere con cui Federcalcio e Lega di Serie A hanno chiesto al premier e ai ministri competenti misure di sostegno, viene sottolineato come il settore non solo attragga l’interesse e alimenti la passione di oltre 30 milioni di italiani, ma vada considerato come un’industria che fattura nel complesso in via diretta quasi 5 miliardi l’anno, dà lavoro a circa 300.000 persone e versa all’erario 1 miliardo e 200 milioni anni. Ma come si fa a erogare aiuti a un mondo che, in pandemia, non ha preso un solo provvedimento utile a mitigarne gli effetti, se non riuscire a forzare l’opinione pubblica per tornare in campo quando in molti ritenevano non fosse ancora giusto?
In Federcalcio si è già in campagna elettorale e non si parla di modifiche strutturali, Serie A a 18 squadre e drastico taglio delle società di Serie C.
A sua volta, la Lega di Serie A, non si è premurata di affrontare di petto le due questioni più scottanti del momento, protocolli di convivenza con il coronavirus a parte: gli emolumenti dei giocatori e i rapporti con i licenziatari dei diritti tv. Per i primi ci si è limitati a spostare le scadenze, per i secondi la Lega non ha ancora offerto ai broadcaster, com’è avvenuto in tutto il resto d’Europa, uno sconto tale da costringerli a saldare subito gli arretrati sia pure in misura ridotta. 
L
a mancanza di liquidità è il problema più assillante delle società di calcio italiane. Per evitare il default il governo potrebbe adoperarsi per mettere a disposizione dei club linee di finanziamento a tassi agevolati. Un’altra richiesta è il differimento del pagamento delle imposte. Anche questa non è un’istanza irricevibile. A patto che il mondo del pallone prenda contemporaneamente impegni precisi e circostanziati di contenimento dei costi, di riforma del sistema e di sussidi alle serie minori. Non c’è altra strada: per non collassare, il calcio italiano deve cambiare. G. Teotino (Fonte: Il Mattino)

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