Albertosi, Burgnich, Facchetti; Bertini. Rosato. Cera. I più “anziani”, almeno calcisticamente parlando, non potranno non ricordare. Messico ’70, la partita del secolo, Italia Germania 4 a 3. Semifinale dei campionati del mondo, sulla quale si sono costruite storie affidate alle pagine dei libri, alle pellicole cinematografiche. La partita che rappresentò lo spaccato di un’ epoca. Lui segnò un gol. Quello del due a due. Lui che non segnava mai, praticamente. Durante i tempi supplementari. E’ rimasto immortale grazie ad uno scatto fotografico che lo ritrae mentre salta con Pelè. Sempre in quel mondiale in Messico. Quando ‘O Rey va a colpire la palla del definitivo 4 a 1 nella finale Brasile – Italia. Lui era Tarcisio Burgnich, che divenne la “roccia”. Armando Picchi lo definì così, dopo un contrasto che Burgnich ebbe contro Novelli, veloce ala della Spal. Novelli rimbalzò lontano, come fosse sbattuto contro una roccia, appunto. Lui che la Juve scartò, dopo appena tredici comparse con la maglia bianconera, per un lieve difetto di strabismo. Lui che assieme a Facchetti diede vita alla coppia difensiva più forte d’Italia, una delle più solide d’Europa, con la maglia dell’ Internazionale di Herrera. Vincendo tutto quel che c’era da vincere. Burgnich, il taciturno, dagli avi austriaci, la scriminatura brillantinata, ed i modi aristocratici, in campo era un mastino. Un mastino napoletano, quando finì alla corte di Vinicio e del Napoli che fece epoca. Più tardi, molto più tardi, nel corso di un’ intervista, a proposito della sua avventura azzurra ebbe a dire che “non si era mai divertito così tanto a giocare al calcio”. Ma all’ inizio, nel tourbillon degli schemi del leone brasiliano, ispirati a quello della zona totale, e della difesa alta, Tarcisio “la roccia” ebbe a patire il mal di capo. Abituato a giocare da esterno, o centrale, in marcatura francobollata sulla punta avversaria più pericolosa, si trovò di fronte alla applicazione del ruolo in chiave moderna. Il fuorigioco, eseguito in maniera ossessiva dal reparto difensivo azzurro, con la linea che saliva alta, all’ unisono, fu un rompicapo dal quale, dapprincipio, non riusciva a venir fuori. Ma la sua immensa classe e soprattutto la sua incredibile dedizione e conoscenza del gioco, lo trasformarono a tutto tondo. La roccia si frantumò in molti minuscoli sassolini scintillanti, capaci di scorrere allegramente nel letto del fiume di un gioco spumeggiante. Dal rigore schematico, passò all’ eclettismo tattico. Partecipò in prima persona alla coppa Italia del ’74, vinta contro il Verona all’ Olimpico per quattro a zero. Ed in quella edizione della manifestazione realizzò la sua unica rete in maglia azzurra. Contro la Fiorentina. La rete decisiva nell’ uno a zero finale. L’anno seguente vinse la coppa italo inglese, in una doppia sfida contro il Southampton guidato da Channon. E raggiunse la semifinale della Coppa delle Coppe, nella sfida contro l’Anderlecht. Carmignani, Bruscolotti, La Palma; Burgnich, Vavassori, Orlandini. Da una formazione ad un’ altra, Tarcisio la roccia restò nella memoria. E nella storia del club.
a cura di Stefano Iaconis