Calcetto, nuovo divieto scatta la contromossa «Ora ci tesseriamo tutti»

È morto il calcetto? Evviva il calcetto. E non si tratta di un detto del tipo fatta la legge trovato l’inganno, perché la via maestra che sta prendendo la classica partita del giovedì sera tra amici, è quella del regolarizzarsi e darsi un protocollo anti Covid. Il che significa visite mediche, certificati, autocertificazioni, in poche parole una tracciabilità che alla fine è quella richiesta dal Comitato tecnico scientifico.


PARTITE

Quello delle partitelle infrasettimanali tra tornei amatoriali e incontri tra amici è un mondo che sfugge allo sport organizzato dal Coni e dalla Federcalcio e quindi non è censito. Una stima per difetto rispetto alla realtà parla di 200 tornei (8 per 4 partite a settimana per 800 partite a settimana) e 4mila partite al mese nella sola città di Napoli. Moltiplicate all’eccesso le partite occasionali della sera riservate ad amici o colleghi di ufficio. Un mondo che ha subito un crollo almeno del cinquanta per cento dopo il lockdown. «Siamo stati i primi a chiudere e gli ultimi a riaprire» racconta Antonio De Stefano, responsabile organizzativo del complesso Kennedy, uno dei più grandi della Campania con i suoi undici campi e 110mila metri quadrati. Sui campi dei Camaldoli si allenano i ragazzi del settore giovanile del Napoli, di Dinamo Keller, Vomero Academy e Marano. «Il Covid ha messo strutture come le nostre in ginocchio perché anche le scuole calcio hanno avuto un drastico ridimensionamento di tesserati per la paura dei contagi. A questo aggiungiamo i doppi turni a scuola che rendono le cose ancora più difficili. Almeno però questa volta si sono passati la mano per la coscienza. Temevamo il lockdown totale come in primavera. Questo fortunatamente non è avvenuto e regolarizzando tutto ciò che è amatoriale, cioè senza protocollo, potremo recuperare anche molte partite infrasettimanali».


SOLUZIONE

La soluzione sarebbe semplice considerando che gli sport di contatto sono consentiti, recita il decreto, «da parte delle società professionistiche e a livello sia agonistico che di base – dalle associazioni e società dilettantistiche riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (Coni), dal Comitato italiano paralimpico (Cip), nel rispetto dei protocolli emanati dalle rispettive Federazioni sportive nazionali, Discipline sportive associate ed enti di promozione sportiva, idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in settori analoghi». Ogni gestore potrebbe così creare una associazione sportiva dilettantistica affiliata ad un ente di promozione sportivo e muoversi all’interno dei regolamenti dell’ente riconosciuto dal Coni con precisi obblighi. A questo punto i suoi clienti del giovedì sera, tesserati per la nuova Asd, sarebbero tenuti a rispettare i regolamenti dell’ente di promozione, prima di tutto quelli di carattere sanitario. «Noi non avremmo nessun problema a dare il nostro sostegno ad un siffatto genere di affiliazione – sostiene Salvatore Maturo, consigliere nazionale del Csi, uno degli enti di promozione sportiva che operano al fianco di parrocchie, associazioni ed altre società di sport di base – la regolarizzazione porta maggiore controllo anche dal punto di vista sanitario e quindi chiunque giocherebbe una partita sarebbe tracciato perché soggetto a visite mediche come avviene anche in campo agonistico».


UNTORI

Ma c’è chi non ci sta ad essere trattato da untore. Massimo Vernicola gestisce, ad Agnano, Maxsporting, una quindicina di campetti dove si gioca calcio a cinque, a sei, a otto. «È un intero settore messo in crisi – lamenta – ci trattano da untori e invece non si è registrato alcun focolaio. Abbiamo rispettato i protocolli, siamo stati perfetti nel gestire le nostre strutture, eppure ci chiudono. La nostra attività si basa sul settore amatoriale, non certo su quello agonistico e questa decisione ci penalizza fortemente. Spadafora parla di aiuti che arriveranno con la legge di bilancio. Ma conosciamo i tempi della politica…». Gianluca Agata (Il Mattino)

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