Se trentasei minuti sembrano pochi, c’è sempre un modo per farseli bastare: dentro ad una partita, o ad uno spezzone d’una sfida, è possibile andarci comunque a leggere, e senza necessariamente la lente di ingrandimento, e ripensando a Osimhen ed alla sua Parma-Napoli, ne sono rimaste di cose che sono rimaste impresse, mica solo tecnicamente. Quando comincia la sua personalissima gara contro il tempo, Vicotr Osimhen è semplicemente una incognita, si porta appresso le sei reti in amichevoli che valgono poco e lascia subito di sé un’immagine che riempie uno stadio, persino l’immaginario collettivo. Gli attaccanti, a volte, si giudicano con i gol, Osimhen ha invece ha già spostato le valutazioni (in corso d’opera), inserendoci la sua autorevolezza e la capacità di essere decisivo anche solo con la magìa della presenza: al Napoli, non appena s’è tuffato bel corpo a corpo, ha concesso allegria, ha cambiato lo schema e persino l’espressione, si direbbe l’umore. Gli ha dato certezza ed anche energia, l’ha irrobustito fisicamente e lo ha alleggerito psicologicamente, è divenuto il riferimento della difesa altrui ed ha consentito a Mertens e a Insigne di reinventarsi bomber. E poi ha scatenato subito l’immancabile desiderio di capire chi sia, a chi possa assomigliare, che è un giochino o anche no: perché Giordano, Carnevale e Amoruso, 475 gol in tre (per dire), hanno già squarciato l’orizzonte. A Giordano CdS