Era un martedì, il 9 settembre del 1980, quando Ruud Krol atterrò a Capodichino. Il primo straniero del Napoli dopo la riapertura delle frontiere. «Trovai duemila tifosi ad aspettarmi, arrivavo dal Canada dopo un viaggio di 24 ore con Juliano e il mio manager Roach. Mi dissero che era un segreto per tutti il mio arrivo, ma quando vidi quei tifosi con le bandiere, capii cosa era Napoli». Il tulipano che ha fatto sognare una generazione vive una seconda giovinezza: ha appena vinto in Kuwait il campionato e si prepara alla sfida dell’Emir Cup, della Crowne Prince Cup e della Coppa asiatica. Insomma, questi sembrano essere proprio i giorni di Krol.
Krol, iniziamo dal trionfo nella Premier del Kuwait?
«Giochiamo a 44 gradi, in condizioni climatiche complicate. A me piace il caldo, ma così si soffre. C’è tutto qui per poter fare bene: organizzazione societaria, strutture, tanta voglia da parte dei calciatori. Non è semplice giocare di questi tempi, in realtà dovrebbe esserci la sosta ma come in Europa il lockdown impone adesso ritmi forsennati».
Ma uno come lei che ha vinto due coppe dei Campioni, due volte in finale della Coppa del mondo, ancora si emoziona per un successo?
«Vincere è sempre qualcosa di straordinario. Ovunque si riesca a farlo. Sono venuto in Kuwait attratto da questo Paese che conoscevo solo per l’immagine dello sceicco che scese in campo durante il Mondiale in Spagna nel 1982. Da poco tempo è finito il coprifuoco per il Coronavirus, c’è sempre tanta attenzione per timore di un ritorno di questa epidemia ma nei primi tempi per tornare dopo le 21 dal campo di allenamento in auto ho avuto bisogno di un permesso speciale».
Krol, ora torniamo a quel settembre di 40 anni fa.
«Se sono venuto a Napoli è tutto merito di Juliano. Venne a casa mia ad Amsterdam a marzo e cominciò a parlarmi della possibile riapertura delle frontiere in Italia. Se ne parlava da mesi, ma non succedeva mai. A dicembre del 79 avevo avuto degli incontri con dei dirigenti del Milan e loro pure ventilavano questa ipotesi. A tutti noi piaceva l’idea di questa avventura italiana, in tanti in quell’Akax speravano di essere contattati. Venne da me anche Nils Liedholm e mi misi d’accordo per andare alla Roma ma quando vidi che passava del tempo e il blocco degli stranieri restava decisi di accettare l’offerta del Vancouver. Loro poi, nel frattempo, decisero di prendere Falcao. All’Ajax non volevo più stare. Era casa mia, ma avevo voglia di vivere un’altra esperienza. Per certi versi, capisco quello che sta provando Leo Messi a Barcellona».
Va in Canada ma Juliano non si arrende.
«Già, era convinto che a Napoli avrei preso in mano la squadra. Troviamo rapidamente un accordo. Partiamo per l’Italia dopo che ha trovato una formula di prestito per 7 mesi con il club canadese. Ma l’Ajax si impunta, non arriva il nulla osta e salto la prima partita. Una rabbia…».
E il primo impatto con i tifosi?
«Ero arrivato da 24 ore e c’era al San Paolo il West Bronwich Albion che aveva in attacco un giocatore allora famosissimo, Cyrille Regis. Io ci tenevo ad affrontarlo. Non avevo fiato, ricordo ancora la stanchezza alla fine di quella partita».
Lo scudetto fu solo sfiorato.
«Per molti lo abbiamo perso per l’autogol di Ferrario con il Perugia, ma dobbiamo ammettere che quell’anno siamo andati molto oltre quelle che erano le nostre reali potenzialità. Se pensiamo a chi c’era nella Juventus e nella Roma, come qualità individuali noi eravamo una squadra inferiore. Ma la nostra forza venne dalle capacità di fare squadra che diede Juliano e Marchesi e da calciatori che avevano grandi qualità umane».
In che condizioni trovò il calcio italiano?
«Era ancora molto scosso dalla vicenda delle scommesse e degli arresti per le partite truccate ma io non mi feci certo impressionare da quello scandalo. E parlando anche con altri stranieri, nessuno ne era turbato. Il nostro arrivo ha aiutato a far crescere il campionato, ne ha alzato il livello tecnico e agonistico. Ho sempre pensato che il salto in avanti dell’Italia, che poi ha portato alla vittoria del 1982, è arrivato dalla decisione di riaprire agli stranieri».
La città di Napoli fu una sorpresa?
«Ero stato lì con l’Ajax qualche anno prima ma durante l’Europeo che quella estate si giocava in Italia, con l’Olanda avevo giocato due volte, con la Grecia e con la Germania Ovest. Nella gara decisiva con i tedeschi Allofs segnò una tripletta ma i tifosi sugli spalti facevano il tifo per noi. Io ero capitano di quella nazionale. Ne rimasi impressionato. A Napoli mi hanno sempre voluto bene, nel mio cuore c’è la grande festa per i miei 70 anni organizzata dai cugini Giugliano da Santa Caterina Villa D’Angelo».
A proposito di tifosi, le piace il calcio a porte chiuse?
«È qualcosa di orribile vedere gli stadi vuoti, non sentire le voci delle persone, i cori, le urla. E questo farà sì che i prossimi campionati, in tutti i Paesi, faranno vedere delle sorprese. Perché non è calcio e magari in Italia è l’occasione giusta, in questa situazione di emergenza, per fermare questa incredibile serie di vittorie della Juventus».
In quella stagione i tifosi sono stati una componente chiave?
«Ricordo dopo la seconda scossa di febbraio, tornammo in campo al San Paolo con l’Ascoli, di mercoledì. Pensavamo di trovare 20mila spettatori, invece ce ne erano 85mila. Vincemmo, e ricordo anche il nome di chi fece gol: Damiani».
Krol, domani c’è Olanda-Italia.
«La Nations League, non si offenda nessuna, ha lo stesso valore di un’amichevole, non credo che importi a nessuno. Sono due nazionali che stanno rinascendo dopo la clamorosa mancata partecipazione all’ultimo Mondiale. Mi piace il progetto di Mancini, quello dell’Olanda va capito ancora. Ora in panchina c’è Dwight Lodeweges, sono rimasti tutti un po’ colpiti da addio di Koeman. Di certo, in Qatar non possono non esserci due pezzi di storia del calcio mondiale“.Pino Taormina (Il Mattino)