A Napoli ci finì per un caso della sorte. Dentro uno scambio. Quello che portò Dino Zoff alla Juventus di Agnelli Boniperti e Vycpalek, e lui all’ ombra del Vesuvio. Pietro Carmignani si ritrovò a difendere la porta del Napoli. Dopo aver vinto uno scudetto a Torino. Era difficile, se non quasi impossibile dire no all’Avvocato più celebre d’Italia in quel periodo. E la società piemontese aveva messo gli occhi su Dino. Sappiamo tutti come andò a finire. A Napoli, Carmignani, ci arrivò annunciato dalla sua fama, non certo brillante. Nelle ultime cinque giornate dell’anno calcistico precedente, infatti, il tecnico boemo, Cestmir Vicpalek, zio di un altro boemo dal calcio innovatore, Zdenek Zeman, lo aveva relegato in panchina. Preferendogli Piloni. Le prestazioni di Carmignani, avevano fatto storcere il naso all’ambiente bianconero. Galeotta una parabola innocua di Domenghini, nella partita contro il Cagliari, che si era trasformata nel più incredibile dei gol. A Napoli Pietro fu ribattezzato “Gedeone”. Nessuno seppe mai il perché di quello strano soprannome che gli venne affibbiato a Como. Forse per le ragguardevoli dimensioni di un naso imponente che campeggiava sul suo viso da toscano poco ironico e molto riservato. Era il periodo nel quale andavano in onda gesta di portieri picareschi. Paolo Conti, con la maglia giallorossa della Roma, i baffoni spioventi e il viso da arcigno fra’ Diavolo. Felice Pulici, acrobata e romanzesco perfetto per la Lazio di Maestrelli. Carmignani, con quel naso simile ad un promontorio, e l’aria malinconica che strideva con l`allegria del luogo, che pareva un personaggio balzato fuori da un mondo in chiaroscuro. Naif. Amatissimo oppure odiatissimo. Applauditissimo, e poi contestatissimo. Capace di prodezze da urlo, e subito dopo di errori marchiani, rappresentava l’antitesi del saldo bastione. Della breccia inespugnabile. Andava a corrente alternata. Aveva grande coraggio, con il quale sopperiva alla pochezza tecnica. Si tuffava nel fango, testa in avanti, tra i piedi degli avversari, riemergendo con la sfera tra le mani. Per il popolo del San Paolo, abituato all’ eleganza quieta, figlia di un talento naturale, della quale era fornito Zoff, Carmignani rappresentò un autentico supplizio. Gioia e dolore. Un po’ Garella, un po’ De Sanctis, parava con qualsiasi parte del corpo disponibile. E poco concedeva allo spettacolo. Non amava la plasticità ed il volo. Nel Napoli di Vinicio, nella stagione dello scudetto sfiorato, riuscì comunque a risultare il terzo portiere meno battuto del torneo. Dietro al romanista Paolo Conti ed allo stesso Zoff. Appena diciannove gol subiti. Sebbene nelle due sfide scudetto, contro la stessa Juventus, combinasse disastri, specie nella sfida di Torino, che risultarono sanguinosamente decisivi. Cinque anni a Napoli, ne fecero, il simbolo di un’ era indimenticabile per i nostalgici legati a quel periodo. Carmignani, Bruscolotti, Pogliana, l’ incipit di una formazione comunque la si metta, incastonata nell’arazzo della piccola leggenda, vive ancora. Vivrà per sempre. E Pietro Carmignani avrà eternamente un piccolo posticino nel cuore di ogni tifoso del Napoli. Anche da “Gedeone”. Perché il calcio conserva i suoi miti per ciò che essi furono in quel tempo. Anche quelli che del campione non avevano le stimmate. Perché il calcio è lotta, furia agonistica, lampo di classe, genio artistico. E sorriso. Sopratutto quello.
A cura di Stefano Iaconis