Questa non è una partita e Gattuso lo sa bene, se si volta: arrivò da Salerno a Milanello, strappato dal blitz di Galliani alla Roma che ormai sentiva di averlo fatto suo, e scoprì di essere finito al centro di un universo luccicante, che l’avrebbero inondato dei bagliori della Coppe degli Scudetti in 468 presenze, spalmate in tredici anni. E poi, ancora Milanello, stavolta però da uomo fatto e finito, sempre apparentemente burbero ma con quel suo cuore grande cosi, per accomodarsi in panchina: altre due stagioni, una per intera, navigando in acque sconosciute al primo Gattuso, perché intanto il Milan era cambiato e non c’era l’opulenza dei fantastici anni ‘90, le pale degli elicotteri s’erano fermate e per bisogna ricostruirsi la propria elitaria dimensione. Nemico, mai, neanche quando ancora non era stato catapultato in quel mondo, perché lui nella stagione 1998-1999, quella attraversata con la maglia della Salernitana, non giocò nell’andata, né al ritorno: non era contemplato per lui il ruolo del «nemico», neanche prima che diventasse un “amico”, anzi qualcosa in più.
Fonte: CdS