La Plaza de toros di Valencia fu costruita dall’architetto Sebastian Monleon. In stile neoclassico, appare magnificamente alla luce del sole, e suggestiva nottetempo, come un Colosseo in miniatura agli occhi di chi se la trova dinanzi. Qui si esibiscono i più celebri toreri di Spagna. Perchè questa arena è seconda solo a quella di Madrid, per importanza. Valencia è città di corride, come di calcio. La Mestalla è l’arena del football, e qui il ruggito degli “ultrasur” risuona formidabile. Spesso trasformando le sfide in corride di tifo sfrenato. La passione da queste parti è calda come le temperature. Qui il Napoli scrive una pagina leggendaria, in una sera di settembre del 1992. Primo turno di coppa Uefa. Un sorteggio temibile. In terra di Spagna l’andata. Questo Napoli conta ancora tra le sue fila Careca. Diego e la sua leggenda sono scappati via da tempo. Il doping li ha divisi da Napoli. La squalifica di un anno un tributo pagato a carissimo prezzo. Al suo posto, alle dipendenze di Ranieri, in una formazione dal profilo tecnico dimesso, ma che è stata capace l’anno prima di conquistarsi un posto in zona Uefa, battendosi con ferocia, c’è adesso un piccolo genio dalle incredibili giocate che ricordano, quelle del Pibe. Gianfranco Zola è quel genietto con il medesimo 10 sulla schiena. Al loro fianco, un uruguagio dall’aria buffa, che ricorda il celebre personaggio di un cartone animato, a causa della sua dentatura da roditore. Ma è solo un’ impressione, la sua indolenza torpida sul campo. Ha le movenze eleganti di un finisseur del gioco. Sotto porta, è un’ iradiddio. Un matador. Si chiama Daniel Fonseca. E quella notte a Valencia, nella tana delle corride, distrugge la squadra spagnola. Mata il toro in bianco con un’ impresa leggendaria. Segna cinque reti. Mai prima riuscita ad alcun calciatore di una squadra italiana. Cinque reti in Europa, in trasferta. Un prodigio. Fonseca divora il campo. In quella sera di fine estate, con il calore che ancora brucia la notte valenciana, Daniel possiede il talismano della precisione. Appare toccato dalla grazia. Zola lo lancia con precisione millimetrica e lui aggancia, entra in area, lanciato, e di destro pesca l’angolo lontano. Il Valencia schiuma rabbia. Si getta in avanti. E pareggia. Spinto dal ruggito del Mestalla. Un fortino dove il tifo alita sul collo dei calciatori. Qui inizia la corrida. Pensano i 400 valorosi giunti da Napoli. Molti in auto. Il viaggio e’ un inno alla vacanza. Si attraversa la Francia, si tocca Barcellona. Ma Quique, a palla lontana, commette uno sciocco fallo cattivo su Policano. Lasciando il Valencia in dieci. Ed ecco che la partita vola sui piedi di Fonseca. Planando come un falco pescatore che si tuffi a ghermire prede. Il Valencia resta in dieci. Fonseca allaccia i calzari di Mercurio, dentro gli spazi larghi che il Valencia lascia aperti. Autostrade. Fonseca ci sfreccia sopra. Senza limite di velocità. Jonas Thern, lo svedese dalla falcata da cingolo, e piedi talvolta poco nordici, lo serve nel corridoio. Daniel vola in porta. Poi tocca a Policano filare come un vento buono, arrivare sul fondo, e pescare ancora l’ uruguaiano con l’ 11 sulla schiena. A rimorchio a centro area. 3 a 1. Il finale è sì, da corrida. Quella nella quale il matador passa a fil di spada il toro. Uno-due al minuto ottantanove e novanta. Sempre in controfuga. Sempre solitaria. Uno contro uno. Con la muleta in fuori a roteare, sull’ ultima marcatura, in una serie di finte e dribbling ubriacanti. Fu una notte Maradoniana. Uno degli ultimi rigurgiti di un Napoli che, da lì a breve, si sarebbe consegnato all’anonimato. Per un lunghissimo tempo. Nel quale avremmo ricordato, sospirando, notti come quelle del Mestalla. La notte di ” Fonsinco”.
a cura di Stefano Iaconis