Di Fusco ricorda Corso: «Ho imparato a parare con le sue punizioni»

Di Fusco al microfono di Marco Giordano (Il Mattino):

«Ci ha fatto vincere uno scudetto, l’unico della Primavera del Napoli: ma, soprattutto è stato un grande maestro di vita, uno di quelli che ti insegnava a stare in campo, ma anche a stare a tavola. Ci ha educati come un padre: se ne è andata una parte di noi».

La voce di Raffaele Di Fusco è quella di chi parla con il sorriso amaro, ricordando quel qualcosa che ti ha fatto felice e che ora non ha più la possibilità di esser stretto, incontrato, abbracciato.

Di Fusco, chi era Mario Corso? «Basta un aneddoto per capire chi era il mister: gara di campionato, avevamo finito le sostituzioni. Corso tira fuori dal campo Michele Borriello, il libero della squadra, un suo pupillo e ci lascia in dieci. Perché? Semplice: dopo averlo rimproverato due, tre volte per qualche dribbling di troppo, Michele continuava ad avventurarsi nell’uno contro uno nella nostra area di rigore. Tolse Borriello, restammo in dieci, ma vincemmo ugualmente la partita: ci voleva sempre sul pezzo, capii qual era il modo migliore per farlo. Era geniale, uno che vedeva avanti».

Corso ci ha lasciato nelle scorse ore: ha già sentito i suoi compagni dello scudetto Primavera del 1979? «Abbiamo un gruppo whatsapp con i ragazzi dello scudetto, spesso ci vediamo ancora per giocare qualche partita assieme. È stato un colpo molto duro, ci ha lasciati l’uomo che ha portato avanti il lavoro di Sormani e che ha contribuito a formarci come uomini e come calciatori. È incredibile, fino a qualche mese fa era con noi, ci faceva compagnia alle partite. Poi, aveva un’umanità incredibile: mi vengono alla mente tanti ricordi…».

Ce ne racconti uno. «Nell’arco degli anni, noi siamo rimasti molto uniti ed è capitato che potesse esserci qualcuno in difficoltà: non farò nomi,ma Corso ha regalato cappotti, maglie, quello che poteva esser utile per dare una mano a chi si è trovato in un momento di disagio. Un uomo di grandissima eleganza e signorilità, che girava in Ferrari,ma anche molto schivo. Ma ha amato tanto Napoli ed i napoletani».

Che allenatore è stato? «Uno di quelli che ci ha insegnato cosa fosse il pallone. Lo prendeva tra le mani e diceva: “Guardatelo, è il vostro migliore amico. Quando andate a dormire, portatelo con voi, abbracciatelo. Il pallone è parte di voi”. Poi, molti prima di tanti altri, puntava i suoi allenamenti sulla tecnica pura. Lo scudetto lo vincemmo perché giocavamo meglio degli altri, ci faceva sempre lavorare intensamente con il pallone. In finale, nel ‘79, giocammo contro il Torino: ci sovrastavano dal punto di vista fisico, non c’era all’epoca l’intensità che c’è oggi. Senza i suoi allenamenti tecnici, non ci sarebbe stata storia: invece, vincemmo per la qualità che seppe dare al nostro gioco».

Da portiere, qualche punizione a foglia morta in allenamento, l’ha subita? «In quegli anni non c’era il preparatore dei portieri: a fine sessione, era Corso a farci uno speciale allenamento. Ovviamente, conoscevamo già il suo meraviglioso sinistro, l’invenzione della foglia morta. Ma, vederlo toccare il pallone con quel mancino era una delizia assoluta: ed anche quando aveva smesso, con quella gamba poco muscolosa, disegnava calcio in senso assoluto».

Quanto manca un Corso al settore giovanile del Napoli? «L’assenza di uomini come lui spiega le difficoltà del vivaio azzurro» Fonte: Il Mattino

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