Il calcio femminile attenderà la prossima settimana sui verdetti delle retrocesse e delle neo promosse, si pensa al futuro del movimento. Ecco il pensiero del responsabile del settore femminile Katia Serra. “Bisogna sostenere e confermare il format a dodici squadre: per numero di praticanti e qualità delle squadre, allargare il format significherebbe tornare indietro, e invece di elevare il prodotto, si va a fare qualcosa di deleterio senza rispettare la necessità attuale. Tra 3-4 anni potrà anche essere tempo, ora sarebbe un clamoroso autogol. Non mi risulta affatto che ci sia questo rischio, la Federazione ha una linea chiara: non ha cambiato format a nessun campionato, non vedo e non credo ci siano presupposti per un cambiamento che sarebbe solamente politico. Il cambio della Serie B è stato normativo, e già c’è la regola andata in deroga un paio d’anni fa sulla prima che sale, quindi si è trattato solo di toglierla, ma era già esistente. prima. La FIGC ha dato dimostrazioni concrete, bocciando anche il blocco delle retrocessioni. Non ho certi sentori, poi tutto è possibile: ad oggi l’aumento delle squadre è solo una ricostruzione giornalistica, senza fondamento”.
Le parti in causa agiscono seguendo ciò che è stato costruito negli ultimi anni? “A qualsiasi livello, sia nelle istituzioni che nei club, c’è un problema comune: chi si occupa del femminile non ha potere decisionale, autonomia organizzativa e un budget tale da non dover dipendere da piani più alti. Questo è il principale problema che limita la celerità nelle decisioni. Serve tempo per completare il percorso, se pensiamo ai club professionistici con sezione femminile è storia di pochi anni. Dobbiamo fare i conti con un problema culturale, inutile far finta di niente. Le conquiste in Italia sono sempre lente, mai rivoluzionarie ma sempre step-by-step. Ad un anno dal Mondiale che aveva illuso chi non conosce il nostro mondo che fossimo a un certo livello, si è capito che si parla senza concretizzare. Noi come associazione ci battiamo da anni per il professionismo, e tutt’oggi siamo in prima linea. Non dico nulla per scaramanzia, ma abbiamo due percorsi aperti: uno parlamentare e l’altro governativo, con la legge delega di Spadafora. Possiamo ancora raggiungere l’obiettivo, ma non deve dipendere solo dalle calciatrici ma da livelli più alti”.
Lei ha scritto che il calcio femminile deve fare come una maratona. “Io in campo ero molto veloce e per questo mi facevo male spesso, perché prendevo un sacco di botte. Mi piace andare veloce ma dobbiamo fare i conti con la realtà italiana, tradizionalista e che vede i cambiamenti come un rischio, non come una risorsa. Un paese in cui le donne che raggiungono certe posizioni hanno spesso un tifo di facciata, sono caratteristiche con cui fare i conti ogni giorno. Bisogna esserne molto consapevoli e trovare il modo di cambiarle. Io queste cose le vedo a qualsiasi livello, in ogni settore, non solo sportivo ma anche nel mondo industriale. Purtroppo non mi piace e non combatto costantemente a caso, ma non sono sorpresa: bisogna capire cosa può interessare concretamente, per aggiungere sempre qualcosa e proseguire nella maratona”.
Cosa serve?
“Dipende da qualcuno più importante di AIC, gli sviluppi cambiano alla velocità della luce e più delle volte neanche ti accorgi del perché e di cosa abbia maturato un cambiamento. La legge delega è impegno del Governo, di realizzare il professionismo entro questo agosto. Forse per la pandemia i tempi saranno un po’ allungati, ma sappiamo che stanno lavorando. Non si tratta solo del professionismo del femminile, ma di tutti gli sport in cui gli atleti si occupino, senza tutele, a tempo pieno dell’attività”.
Le ragazze devono tornare in campo prima possibile? L’Italia ne avrebbe bisogno…
“Il campionato inizia sicuramente ad agosto, non ci sono dubbi”.
All’idea playoff le calciatrici hanno detto: o tutte, o nessuna. “Le nostre ragazze, da tanti anni, sono costantemente aggiornate ed informate attraverso la mia persona ed altre collaboratrici dell’associazione. In questo periodo abbiamo fatto tante riunioni, confronti per capire quale fosse la strada più funzionale. Volevano tutte assolutamente giocare, e non c’è dubbio. Ma un campionato, visto che parlavamo solamente di sei partite. Un conto è ragionare sui playoff se mancano tante gare, un altro se ne mancano sei. L’ipotesi non piaceva neanche ai club. C’era preoccupazione pure sugli infortuni, perché nei fatti sul campo erano tornati due club, un terzo con allenamenti facoltativi. Gli altri neanche individuali… Contano i fatti. Sarebbe stato diverso se tutte fossero state al campo”.
Fonte: tuttocalciofemminile.com