Il calcio è ripartito ieri, con la prima semifinale di Coppa Italia Juve-Milan, e stasera si riapre il San Paolo per Napoli-Inter. Cosa cambia giocando a porte chiuse? «Cambia molto, ma non tutto. Il calcio ha fatto di necessità virtù, perché si è messo in condizione di accettare delle limitazioni per ripartire».
A un certo punto era sembrato che lei, il presidente del Coni, fosse contrario alla ripartenza. Di più, il nemico del calcio. «Mi è dispiaciuto per certi giudizi, c’è chi ha voluto creare una contrapposizione che non esiste. Che non può e non deve esistere. Ma il calcio non può avere canali privilegiati rispetto ad altri sport. Mi ero permesso di dire che sarebbe servito un piano B per la ripartenza e mi sembra che siano stati messi sul tavolo un piano B e un piano C. Lo avevo detto non per invadere il campo ma perché quel piano alternativo andava immaginato anche conoscendo la complessità di interlocuzione del mondo del calcio, le sue conflittualità, le peculiarità dei suoi rappresentanti. Di tutto questo nessuno può e deve stupirsi».
Ma non le è sembrato assurdo, dopo aver stabilito il calendario delle partite, alzare muri da parte di sedici presidenti di serie A contrari alla retrocessione? È normale questo tasso di litigiosità in quella che si autodefinisce Confindustria del pallone, con 3 miliardi di euro di fatturato? «No, non è il momento di litigare. Però a torto o a ragione, ancora una volta non entro nel merito – spesso negli ultimi 15-20 anni non era il momento per assumere determinate posizioni. È un’isola particolare, quella del calcio».
Ma quale calcio rivedremo? «Il calcio è ripartito con la Coppa Italia e con quattro formazioni leader. Immagino ascolti record in tv per le semifinali, anche se sarà interessante la verifica su quanti telespettatori sono rimasti collegati fino al termine delle partite, a meno che non siano tifosi delle squadre in campo. Perché c’è un’emotività diversa».
Il litigioso mondo del calcio riuscirà a individuare un percorso per le riforme dei campionati? Nessun altro Paese ha cento squadre professionistiche. «Sarebbe un grave errore se il calcio non utilizzasse questa occasione, se non sfruttasse – rigorosamente tra virgolette – il momento. Vedo che tutti i protagonisti, dal presidente federale ai presidenti delle Leghe, sono d’accordo sulle riforme. Come nel caso del piano B, ognuno lo declina a modo suo, tirando il lenzuolo dalla propria parte. Bisogna cogliere questa straordinarietà: vale per la Federcalcio e per le altre federazioni, come per il Coni, perché ci dedicheremo anche noi alle riforme dopo la legge delega. La situazione che si è creata a causa del Coronavirus spinge a fare questo tipo di interventi».
C’è una forte preoccupazione lanciata dal mondo dello sport campano. Quando riapriranno le scuole, le palestre degli istituti saranno utilizzate per le lezioni e si ridurranno gli spazi per le attività sportive. Come si può intervenire? «Colgo la preoccupazione di questa ampia rappresentanza dello sport italiano. Associazioni e società sportive dilettantistiche sono la base del movimento e, dato che non tutte hanno la possibilità di utilizzare palazzetti, si affidano alle palestre scolastiche negli orari extracurriculari. Ci stiamo confrontando con i presidenti delle federazioni perché non ci può essere il danno dopo la beffa, perché nelle nostre scuole già non si fa sport».
Fonte: Il Mattino