Un campionato muore, e il massimo del cordoglio che si sente espresso in giro è che si tratta
È passato un anno esatto da quell’evento tanto scintillante e tanto strombazzato: e certo quello che è successo negli ultimi mesi impedisce di classificarlo come un anno qualsiasi, l’emergenza mondiale che ha stravolto le vite di tutti ci ha imposto nuove scale di valori e nuove priorità. Perciò può sembrare una piccola cosa, questa decisione del Consiglio federale della Federcalcio di mettere la parola fine al campionato di calcio femminile, interrotto quando mancavano solo sei giornate al suo termine naturale, senza assegnare quindi lo scudetto 2019-2020 e affidando agli algoritmi i piazzamenti nelle Coppe e le retrocessioni. Decisione peraltro conseguente a una precisa richiesta delle atlete, che si sono opposte risolutamente all’ipotesi di definire la classifica attraverso il meccanismo dei playout e dei playoff. «O giochiamo tutte o nessuna», è stato il messaggio – forte e chiaro, e soprattutto di segno tipicamente femminile – che le calciatrici hanno inviato alla Federazione: no ai mini-tornei che avrebbero coinvolto sei squadre su 12, perché «non vediamo come possa essere tutelato il merito sportivo con una modalità di gioco che a nostro avviso non garantirebbe la vera equità». Difficile immaginare le stesse parole scritte dalle mani dei calciatori uomini, per carità non per insensibilità dei singoli, ma perchè la solidarietà come la intendono le donne non è proprio prevista dal Dna di uno sport che è andato avanti anche la sera dell’Heysel, che non si è fermato neanche quando il tifoso Ciro Esposito era morto accoltellato da un altro sedicente tifoso, che è stato ed è allo stesso tempo oppio dei popoli e sfida
Perciò questo «game over» non è una piccola cosa, e sarebbe sbagliato liquidarlo come inevitabile. Se il calcio femminile si è fermato è perché le società – in gran parte le stesse in cui militano i calciatori uomini – non hanno abbastanza forza, abbastanza soldi, abbastanza interesse a portare avanti un campionato che impone nuove spese per garantire sicurezza sanitaria alle tesserate: spese che non verrebbero compensate in alcun modo, nè dalla vendita di biglietti che non si possono emettere, né dall’incasso di diritti televisivi che nessuna tv è interessata a versare in quantità adeguate, evidentemente non avendo dietro di sè la spinta di masse di tifosi in spasmodica attesa. Inutile dire che di fronte agli stessi identici problemi – naturalmente con numeri enormemente superiori – il mondo che si muove intorno al calcio maschile ha faticato giorno e notte pur di arrivare alla soluzione che