In attesa di conoscere il destino della serie A femminile, se riprenderà o meno l’attività agonistica, il difensore dell’Atletico Madrid e dell’Italia Elena Linari parla del movimento in rosa e dei prossimi impegni delle azzurre. “Devo dire che la volontà degli enti italiani di far riprendere il calcio femminile è un segnale importante, fa capire che non è stato accantonato, la paura che c’era durante la pandemia. Un segnale forte, che potrebbe permettere alla Nazionale di rientrare a settembre con un movimento femminile che non si è arreso davanti a una pandemia che ha colpito tutti. In Spagna hanno deciso di fermare il campionato, non sarei altro che felice se per una volta l’Italia rappresentasse qualcosa di diverso, fosse al centro: sarebbe una bella svolta mediatica e di interesse”.
Ci racconta l’organizzazione dell’Atletico Madrid femminile? “Abbiamo la fortuna di essere al top nel mondo, a settembre è stato inaugurato un centro sportivo in una cittadina di 200.000 abitanti, interamente dedicato al femminile. Siamo le prime ad avere libertà ed un impianto proprio: andiamo lì al mattina e usciamo il pomeriggio. C’è poi tutta la cantera, fino ai pulcini, e in più l’Atletico, tramite Hyundai, è riuscito a fornirci la stessa macchina a disposizione degli uomini. Credo sia qualcosa di straordinario”.
Perché il calcio italiano è in ritardo? “L’impatto di una persona che conosce poco il movimento, fa la differenza. L’italiano medio accende su Rai Sport e vede nomi di squadre che non colloca geograficamente. L’attenzione non è la stessa se ti chiami CF Firenze o Fiorentina, questo al giorno d’oggi fa la differenza. Il fatto di avere tutte le grandi squadre maschili al femminile, fa la differenza. Se guardi la nostra classifica, sai dare più valore ad una maglietta al contrario di come succedeva per esempio negli scorsi anni in Italia. Tutte le squadre dovrebbero essere ricollegate e ricollegabili al maschile, anche per dare protezione alle ragazze. Se ti chiami Orobica, Tavagnacco e Florentia normale che manchino le risorse se arriva una pandemia come queste. Se ti chiami Fiorentina, Juve e Roma non succede”.
La Juventus cannibalizzerà anche gli Scudetti al femminile? “Non credo. Nel femminile ancora non vedo quel livello: sicuramente le ragazze juventine stanno scrivendo la storia, ma so che ci sono società forti come Roma, Inter e in futuro anche il Napoli, in crescita, e l’obiettivo è di arrivare al loro livello. La Juve ha capisaldi importanti ma che si avvicinano ai 30 anni, e questa cosa alla lunga può fare la differenza: se non riescono a fare un ricambio generazionale, le altre potrebbero rendere meno facile e scontata la vittoria dello Scudetto”.
Anche il prossimo anno è Atletico o si guarda a Firenze? “Io ho un contratto lungo, in questo momento il mio obiettivo non è rientrare in Italia: non mi sento pronta, e voglio godermi questa esperienza, anche a livello personale. Per il momento potete lasciarmi fuori dall’Italia, poi si vedrà”.
Come ha vissuto il ruolo di infermiera di sua madre? “Lei ama quello che fa, per la prima volta l’ho vista spaventata ed impaurita. Ho provato molto paura a vederla così, in una situazione in cui tutta l’Italia ma nello specifico Firenze, in cui c’era difficoltà negli ospedali. Le vedevo il terrore negli occhi, uno stress enorme perché lavora in un reparto dove ci sono persone che necessitano di trasfusioni e non stanno già bene: mettetevi nei suoi panni, la responsabilità e la paura di poter contagiarli in un percorso molto difficile come quello della trasfusione, ma anche quello di far male alla famiglia. C’è stato un momento di panico generale quando temeva di essere risultata positiva, purtroppo non potevo fare granché, anche se poi un successivo esame ha mostrato che era negativa. Per tre giorni praticamente non ho dormito”.
Anche a Madrid si sono viste scene forti. “Ho un amico tifoso che ha sia moglie che figlio che sono stati nei reparti Covid: mi raccontava e mi teneva aggiornata, erano tutti impauriti e spaventati perché purtroppo non sapevano cosa fare. Speriamo che si riesca quanto prima a sconfiggere questo brutto virus”.
Ha la consapevolezza di essere un riferimento e un esempio per tante bambine appassionate?
“No, non me ne rendo ancora conto e non credo neanche di poterlo essere: sono fatta così, vivo il calcio da tifosa e bambina. Nonostante riceva veramente tantissimi messaggi da uomini e donne di ogni età, ancora non realizzo. Forse anche perché sono nel clou della mia carriera, e spero di continuare per tanto tempo. Comunque mi fa piacere, mi dà stima e forza e vivendo fuori ho bisogno anche di quest’aria pulita italiana che mi fa sentire non abbandonata, seguita dalle persone. Sicuramente il Mondiale è stato il momento più importante, ha permesso il salto di qualità del movimento. Sin da quando ero a Brescia già vedevo crescere il calcio femminile, ci sono state grosse tappe: la Champions al Rigamonti, lo Scudetto al Franchi, Juventus-Fiorentina della passata stagione… Il Mondiale è stata la corsa finale, ma ci sono state tante tappe. Speriamo che non si smetta e si possa tornare al calcio puro, vero, sincero e femminile quanto prima”.
Come lo vede il testa-a-testa tra Italia e Danimarca? E dove mette l’Italia in Europa? “Difficile, ci sono tante realtà che stanno crescendo, vedi la Spagna, l’Olanda o la Francia… La Germania neanche la commento, davanti ha un futuro di giovani talenti straordinari. Noi siamo ancora indietro, con il Mondiale purtroppo l’abbiamo dimostrato: da un settimo posto in giù, ancora qualcosa manca. La Danimarca, per esempio, ha tante calciatrici che giocano all’estero e hanno potuto crescere facendo nuove esperienze. Il lato positivo nostro è che le italiane in Italia sono tante e giocano sempre. Forse il fatto di non aver giocato contro le danesi a giugno e settembre è buono, per una questione di momenti della stagione. Le vedo al pari nostro, sono molto forti, ma io non ho paura di loro. Le rispetto. Mi preoccupa di più giocare da loro a dicembre, non so se siamo abituate a quel freddo, loro forse un po’ di più. Questo potrebbe fare la differenza”.
Lo status di professioniste quanto è importante? “Già l’approvazione dell’emendamento che permette alle atlete di essere professionistiche, aspettando che poi la palla passi ai club, è un passo avanti verso un’uguaglianza che ancora non abbiamo. Il professionismo è l’aspetto più importante, ma se non hai un campionato con società che possono permettersi questo lusso, non ha senso passarci. Potrebbe significare la morte di alcuni club, il professionismo implica un cambiamento di mentalità molto grande: devi mettere da parte altre cose e altri sbocchi, lo studio, le amicizie, le relazioni… Non puoi guardare troppo a tutto il resto quando sei un dipendente, dovrai accettare quanto richiesto. Il passo è necessario e spero si possa fare entro poco”.
Che ne pensa del futuro azzurro? “Ci sono tante giovani, il ct Bertolini ne sta inserendo molte com’è giusto che sia. La mia grande paura è che non vengano vanificati gli sforzi che le nostre compagne anni fa hanno fatto. Se oggi qualche giocatrice può indossare grandi maglie, è perché tante altre hanno lottato. Non dimentichiamoci dei campi in terra, delle tribune con solo i nostri familiari, delle docce fredde e tutto questo. Spero solo non si fossilizzino solo sui social, sulle foto e sui like, ma soprattutto sul lavoro: la Germania ha giovani promettenti perché a 14 anni già vanno come treni senza farsi problemi. Davanti abbiamo un grande futuro ma bisogna sfruttarlo”.
Fonte: Tuttocalciofemminile Tmw radio