Signorini (Prep atletico): «Volevo salvare Maradona ma nessuno mi ascoltò»

Fernando Signorini, ai microfoni de Il mattino. Si riparte (forse) tra poco meno di un mese in Italia e i dubbi consistenti riguardano la preparazione atletica che ciascuna squadra sosterrà da qui a quattro settimane. «Nella fase iniziale sarà soprattutto la testa a fare la differenza» spiega l’ex preparatore di Diego Maradona e della Nazionale argentina, poi stretto collaboratore dell’ex ct mondiale Cesar Luis Menotti.

Proprio sulla testa del più grande calciatore di sempre, Signorini lavorò tantissimo. «Ricordo il discorso che gli feci alla vigilia del mondiale messicano dell’86, si giocava in condizioni proibitive, in altura e a mezzogiorno. Dissi a Diego: questo sarà il Mondiale tuo o di Platini, decidi chi lo deve vincere. Sapete tutti come andò a finire».
A proposito di testa, nella sua autobiografia «Sopra il vulcano» Ottavio Bianchi ha ricordato di essere stato messo in guardia proprio da lei sui grossi problemi che avrebbe affrontato con Diego dopo la stagione dello scudetto perso.
«La sua malattia, la cocaina, era diventata il segreto di Pulcinella: tutti sapevano, nessuno interveniva. Non solo con Bianchi, ne parlai con Ferlaino, Moggi e il dottor Russo. Mi faceva strano il fatto che nessuno si adoperasse concretamente. Andai di persona a informarmi in una clinica per tossicodipendenti vicino a Napoli, una cosa del genere sarebbe dovuta toccare ai dirigenti perché avevano l’obbligo di fare di più. Invece niente: avevano paura o forse speravano che il limone producesse ancora succo e quindi andava spremuto fino all’ultima goccia. Dico di più: se in quel periodo in società fosse stato presente ancora Italo Allodi, Diego non sarebbe finito così male».
Campionati fermi in Italia e in Argentina: si cerca di fare il possibile per salvare la stagione, giusto?
«Alt. Si deve salvare il business, non il campionato. Senza una preparazione specifica, senza regole certe e senza pubblico non è più calcio. È una ripresa senza senso perché se viene fuori ancora questo maledetto virus, si rischia lo stop lunghissimo. Avrebbe avuto più senso ricominciare dopo l’estate».
I calciatori non hanno avuto voce in capitolo.
«Come sempre si sono fatti mettere i piedi in testa. Sono loro i principali attori, senza i protagonisti lo spettacolo non potrebbe mai andare in scena. Tutti avrebbero dovuto seguire l’esempio di Fali, il difensore del Cadice che ha annunciato di non volersi allenare e giocare: è rimasto invece un caso isolato, nessuno ha detto niente, nessuno ha reagito. Accadde una cosa simile proprio con Diego in Messico nell’86: voleva cambiare gli orari delle partite, a mezzogiorno e con il novanta per cento di umidità era disumano scendere in campo. Tutti gli diedero ragione ma nessun collega lo seguì, rimase da solo, se fosse stato affiancato nella sua battaglia da altri pezzi da novanta, avrebbero compiuto una rivoluzione. Ha detto bene Rooney, i calciatori si prestano a fare le cavie e la cosa più inverosimile è che continuano a non prendere decisioni forti».
Su cosa dovrà basarsi il lavoro dei prossimi giorni?
«Serviranno carichi relativamente pesanti, pochi attrezzi in palestra, una discreta resistenza e tanta velocità. Bisognerà allenare soprattutto l’idea di gioco e fare ogni tipo di esercitazione con il pallone. Lavorare da casa per tanto tempo non equivale al solito allenamento quotidiano. Così come allenare gruppi di 3-4 calciatori è una sciocchezza, meglio concentrarsi sulle esercitazioni con il pallone».
Ci sarà da lavorare più sulle gambe o sulla testa?
«Sulla testa. Gli allenamenti quotidiani servono a mantenere la condizione atletica, più difficile allenare le tensioni e lo stress da prestazione. Cento grammi di tessuto cerebrale pesano più di un chilo di muscoli».
Ma una grande condizione psicologica può sopperire all’inferiorità tecnica?
«La Juventus ha un gruppo più ampio e competitivo, su questo non c’è dubbio. Altre squadre hanno un gioco superiore. A questo andrebbe accoppiata una forma mentale esaltante, che deriva dall’entusiasmo, dalla voglia di vincere e di divertirsi».
Il nemico principale da affrontare?
«Due: gli infortuni innanzitutto. E poi il caldo che in Italia è già arrivato. Vincerà chi saprà dosare meglio le forze e distribuirle ogni tre giorni. Ricordiamoci cosa accade nell’88 al Napoli: perse lo scudetto perché arrivò ad aprile spremuto, eppure continuava ad allenarsi con gli stessi ritmi. In queste settimane bisognerà immettere benzina nelle gambe per giungere fino in fondo, e privilegiare freschezza e velocità».
Sarà una bella scommessa.
«Diciamo pure una rivoluzione. Nella storia del campionato non si è mai conclusa la stagione in pieno agosto, alla fine vincerà chi saprà capitalizzare meglio le condizioni estreme che si dovranno affrontare per scendere in campo».
Tra i primi a sperimentare la preparazione differenziata, Signorini batte sul suo cavallo da battaglia.
«Ogni atleta ha esigenze e tempi differenti da tutti gli altri, non può esserci un unico modo per allenare contemporaneamente 18-20 calciatori. Oggi molti club fanno così, mi risulta che anche il Napoli si fosse orientato con Sarri in questa direzione». A cura di Angelo Rossi (Il Mattino)

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