“Adda passà ‘a nuttata”. Tutti lo diciamo spesso, in questo periodo poi, sembra davvero non si possa fare a meno di quest’espressione. Ma questa non è una semplice frase, no. Questa è filosofia di vita, questa è accettazione della realtà senza adeguarsi all’ immobilismo, questa è speranza storica, appartenenza ad un popolo, sintesi perfetta del tempo che passa, ma che bisogna plasmare, cambiare, migliorare. Questo è Eduardo De Filippo, in una minima parte del suo splendore e della sua grandezza. Questo è Eduardo, perchè i grandi non hanno bisogno di cognome. Un genio assoluto nato il 24 maggio del 1900. L’uomo dal volto scavato che ha reso il teatro forma espressiva per eccellenza, l’uomo che dalle tavole di un palcoscenico ha (ri)dato dignità ad un popolo, rendendo l’essere napoletano sintesi e nemesi dell’essere umano e dell’ umanità stessa. L’uomo che parlava con gli occhi, l’uomo che ha reso arte la drammaturgia, donandole poesia, magia e voce. L’uomo che non temeva il lavoro ed il sudore, l’artista che vedeva oltre. Oltre la storia, oltre i confini, oltre i fantasmi. Quelli della vita e quelli dell’ anima. L’artista che sapeva ed aveva capito quando un uomo può dirsi tale e quanto Pulcinella potesse farti librare in volo, venendo fuori dal suo guscio e insegnandoti a volare. Molto altro ancora era Eduardo De Filippo, talmente tanto che un po’ di lui lo ritrovi in ognuno di quelli che calpestano il suolo di Partenope, ne respirano l’ aria, ne guardano il mare, ma soprattutto ne popolano i vicoli. Napoli ed i napoletani, il mondo intero, saranno sempre in debito con il 24 maggio. Maestro, le nuttate passano, ma LEI non passerà mai.
a cura di Gabriella Calabrese