Luca Pagliuca, chi è stato per lei Gigi Simoni? «Una persona vera, semplice, pulita, ecco, pulita. Non aveva bisogno di fingere con nessuno. Era genuino, onesto, retto».
Quanto tempo avete lavorato insieme all’Inter? «Un anno e mezzo, dall’estate del 1997 fino a fine novembre del 1998, quando venne esonerato. Una stagione e qualche mese molto belli, vincemmo la Coppa Uefa e poi successe quella cosa là».
Poi ne parliamo, di quella cosa là. Cosa ricorda di quell’esonero? «Ci rimase malissimo, lui. E anche noi. Gli scrissi un messaggio, mi dispiaceva un sacco. Stavamo andando bene, avevamo passato il turno di Champions contro il Real Madrid, Simoni era appena stato premiato come miglior allenatore della Serie A. Eravamo una gran bella squadra, di grandi personalità. Ronaldo, Simeone, Bergomi, io, che gruppo. Simoni era bravissimo nel gestirci, sapeva trovare sempre le parole giuste con tutti».
Quando l’ha visto l’ultima volta? «Più o meno tre anni fa, alla presentazione del suo libro. Non stava benissimo già allora. In questi mesi sono stato in contatto con la moglie, Monica. Le mandavo foto e video, dove salutavo il Mister. Monica mi diceva che non riusciva più a parlare, ma mi riconosceva…».
La voce si incrina, un sospiro interrompe la nostra comunicazione al telefono. «…Sai, è giusto ricordarlo come una persona perbene, perché era esattamente quello. Ma è stato anche un grande allenatore, sapeva di calcio, eccome. All’Inter giocavamo con più moduli, non aveva paura a schierare contemporaneamente Ronaldo, Djorkaeff, Zamorano, Moriero, poi l’anno dopo Recoba, Baggio, Ventola. Era un maestro nel convincerci a dare il massimo».
A lei – a un portiere – cosa chiedeva? «Eh, di parare. Luca, tu pensa a parare. Giocavamo col libero, c’era lo Zio Bergomi o Totò Fresi, avevamo una signora difesa quell’anno».
E’ vera la frase del «Date la palla a Ronaldo e poi corretegli incontro per abbracciarlo dopo il gol»? «Mah, credo di no, io non l’ho mai sentita. A noi disse che Ronaldo era speciale, questo sì. Per lui aveva un occhio di riguardo. Ma lo cazziava, anche. Gli diceva: Ronie, tu a vent’anni puoi permetterti di fare una certa vita e allenarti così, ma a trenta te ne accorgerai».
Pagliuca, parliamo di «quella cosa là». Juventus-Inter, aprile 1998, spareggio scudetto, la spallata di Iuliano a Ronaldo, il rigore negato, i tappi che saltano. Lei e Simoni eravate i più agitati. «Eh sì, io ero il capitano, ero fuori di testa. Anche lui, però. Mi vien male solo a pensarci, lo meritava quello scudetto. Anche nei turni precedenti erano successe cose strane a favore della Juve, vabbè, lasciamo perdere. Mi ricordo che Simoni era inviperito, povero. Visse quella giornata come un’ingiustizia».
Che momento intenso ricorda tra voi due? «E’ un momento doloroso, di un dolore indicibile. Capitò quando andai al funerale di suo figlio Adriano, che aveva avuto un incidente. Io giocavo nel Bologna, lui allenava il Piacenza. Mi venne incontro, mi abbracciò e cominciammo a piangere. Non avevo il coraggio di guardarlo, quanto dolore…».
Avete mai avuto uno scontro? (Ride) «Ti racconto questa. Un giorno dopo l’allenamento entro nel suo spogliatoio e gli chiedo: Mister, stasera posso andare a Bologna a vedere Virtus-Fortitudo? Sa, è il derby di Eurolega… E lui: Luca, è meglio se non ci vai, domenica abbiamo una partita importante… Ma me lo diceva con grande serenità. Io insistevo: Mister…è il derby… è l’Eurolega. E lui replicava: Luca… domenica abbiamo una partita importante, domani mattina ci alleniamo, ti stanchi. Alla fine gli dico: ok Mister, non ci vado. Prendo la macchina, esco dalla Pinetina, faccio per andare a casa a Milano ma arrivato al bivio in tangenziale vedo il cartello Bologna…».
Abbiamo capito. «Sai, a quel bivio la macchina ha girato da sola verso Bologna, io manco me ne sono accorto (I sorrisi al telefono non si sentono, ma si immaginano: e Pagliuca sorride, ndr). Comunque: la sera sono al Palazzo a vedere la partita e la tivù mi inquadra tra il pubblico. La mattina dopo alla Pinetina Simoni mi chiama e mi fa: adesso bellino tu paghi la multa. Ma me lo diceva senza alzare la voce, con calma, tranquillo. E aggiunse: Luca, non si manca di rispetto alla squadra. Te lo dico: 2 milioni di lire di multa. Aveva ragione lui, chiaro, mi ricordo ancora oggi che ci guardammo sorridendo e lo sapevamo tutti e due che aveva ragione lui».
Furio Zara (CdS)