Un mese fa aveva espresso contrarietà alla ripresa del calcio, adesso Don Fabio Capello non vede alternative alla conclusione della Serie A sul campo. Ecco le sue verità «Stare chiusi non si può un giorno di più Però serve una direzione: i calciatori ora dovrebbero restare tutti in ritiro due mesi La soluzione ideale è quella tedesca ma noi amiamo complicare ogni questione I rischi muscolari saranno molto alti Benedette le cinque sostituzioni in arrivo»
Fabio Capello, il via libera del Comitato tecnico scientifico è atteso nelle prossime ore. Dal 18 maggio si riparte con gli allenamenti collettivi. È soddisfatto? «Sì, perché il calcio dà lavoro in Italia a centomila persone e perché, da sportivo, penso che lo scudetto si vince e si perde sul campo».
Un mese fa disse che era una situazione ingestibile. Che cosa le ha fatto cambiare idea? «Il fatto che ne stiamo venendo fuori, con tutte le precauzioni del caso. Ma stare chiusi non si può un giorno di più».
Il lockdown ha depresso il Paese? «Nella maniera più assoluta. Lo vedi dalla gente che, ottenuto il permesso di uscire, si ubriaca di libertà. Ed esagera».
Il calcio però non ha dato una bella prova di sé: come giudica quei club che hanno tramato contro la ripresa, convinti di non pagare i calciatori e pretendere i diritti tivù? «È come farsi pagare in bottega e non consegnare la merce».
Come Paese ne usciamo male? «Con troppi proclami e protagonismo. E con tanta confusione. Ma senza direzione e concretezza. Non sappiamo ancora dove andare».
Da qui alla ripresa delle gare ci sono un mese e tanti ostacoli. Il primo è la quarantena obbligatoria per i contatti stretti dei contagiati. Un nuovo caso può fermare tutto? «Sì, se non cambiano le regole d’ingaggio del virus. Perciò ho proposto un torneo di 40 giorni in ritiro permanente, come ai mondiali».
Ma 40 giorni di gare e 20 di preparazione fanno due mesi. Si possono tenere due mesi in ritiro i calciatori, come se fossero i leoni di un circo? «Forse no, ma dobbiamo sapere che, se tornano a casa da moglie, figli e amici, possono contagiarsi».
E se facessimo, come i tedeschi, la quarantena lampo e i tamponi rapidi? «Sarebbe la soluzione ideale. Ma in Italia è tutto più difficile. Abbiamo un debole per le complicazioni».
Ma i calciatori hanno ragione a essere preoccupati per gli infortuni? «Certo che sì. Temo gli infortuni più del virus. Hanno lavorato due mesi in casa con molti limiti, e adesso hanno voglia di entrare subito in forma. Il rischio muscolare è già alto negli allenamenti. Se si giocheranno tre partite a settimana, il recupero fisico tra una prestazione e l’altra è difficile».
Le cinque sostituzioni sono una manna dal cielo? «Di più. E come al solito c’è stato in Italia chi le ha criticate. Adesso per fortuna ci adeguiamo alla decisione dell’Ifab».
Siamo conservatori? «Più che altro abbiamo inutili pregiudizi. Ma scusate: la formula dei cinque cambi è stata sperimentata un anno in serie C ed è andata benissimo. Qual è il problema? Qui si tratta di proteggere la salute degli atleti».
Che cosa suggerirebbe a un allenatore che riprende il suo gruppo? «Non vorrei stare nei suoi panni. Allenarsi senza contatto fisico è molto problematico, almeno fino al 18. Ma la difficoltà più grande è psicologica. Devi entrare nella testa dei calciatori. Dove adesso c’è la paura del virus e degli infortuni, ma anche la disabitudine a giocare senza pubblico».
Ha un peso? «Più rilevante di tutti. Il calciatore è un animale da stadio, sente la folla addosso. Giocare come negli allenamenti è diverso. Qui la differenza la fanno i grandi campioni, non tanto dal punto di vista tecnico. Conta la personalità».
Le cinque sostituzioni avvantaggiano la Juve? «Solo se Lazio e Inter avranno molti infortuni. Le squadre di vertice hanno rincalzi di qualità, per far giocare un titolare venti minuti in meno».
Però lo slittamento delle Coppe ad agosto aiuta i bianconeri in campionato? «In teoria sì, ma è la testa che fa la differenza, non il corpo. La testa a posto ce l’ha soprattutto la Lazio, che ha tenuto a Roma tutti i suoi giocatori».
È un vantaggio? «Certo che sì».
Dybala uscito dal virus potrà essere ancora l’arma letale che ha steso l’Inter? «Se parli con gli atleti contagiati, ti dicono che fisicamente hanno preso una bella botta. All’inizio ci vorrà cautela con loro».
Conte non è bastato a dare ai nerazzurri il riscatto. Se l’aspettava una stagione in chiaro scuro? E adesso la sua grinta può ribaltare la classifica, in questa inedita ripartenza? «Il test per Antonio sarà l’anno prossimo. Ci vuole tempo per entrare nella testa dei giocatori. Però è una situazione così incerta, che tutto è possibile, anche una rimonta».
Lei ha sempre detto che la Juve perde in Europa perché vince facile in Italia. La crisi economica del calcio europeo può accelerare l’accordo tra i club più forti per una Super Champions? «Non mi pare il momento migliore per progettarla. Bisogna rimettersi in sesto, ci aspetta un calmieramento dei prezzi e degli ingaggi dei calciatori. Sarà un mercato diverso. Non solo per le quotazioni più basse, ma perché sarà più lungo e ci vorrà più fantasia».
Si spieghi meglio. «Ci saranno più scambi e meno cash».
Sarà un baratto? «Non esattamente, ma qualcosa di simile».
Le proprietà internazionali dei club italiani possono fare la differenza in questa fase? «La differenza la fa la buona gestione. Suning è un gruppo molto serio e rafforzerà l’Inter, le ambizioni della Juve si confermano. Ma conta anche la bravura dei presidenti come De Laurentiis, che è riuscito a fare per anni ottime squadre tenendo i conti in ordine. Quanto alla Lazio, bisogna riconoscere che Tare i giocatori li sa scegliere meglio degli altri. È il primo punto di forza di questa squadra. L’altro è Inzaghi, bravo perché meno filosofo rispetto ad altri suoi colleghi».
Ce l’ha con Sarri? «No, Sarri è di un’altra generazione. Mi riferisco agli allenatori quarantenni: Simone è il migliore».
L’11 maggio del 2006 si sciolse il cda della Juve per Calciopoli. A distanza di 14 anni che ricordo ha di quella vicenda? «Moggi e Giraudo erano grandi dirigenti e abbiamo vinto sul campo. Calciopoli ci ha tolto scudetti che ha regalato ad altri».
Ma il calcio è migliorato? «Come può essere migliorato se la Juve ha vinto otto scudetti di seguito? Forse adesso torna un po’ di equilibrio. È mancato anche il Milan in questi anni».
Che effetto le fanno Boban e Maldini trattati a pesci in faccia? Hanno sbagliato tutto? «È una cosa che mi fa stare quasi male. Però loro hanno dimostrato da dirigenti la serietà che avevano da calciatori. Io avrei fatto come Boban: non si indossa una maglia per niente. C’è la dignità prima di tutto».
Chiellini che attacca Balotelli, mentre è ancora il capitano della Nazionale, fa una scortesia a Mancini? «A me hanno chiesto tante volte di scrivere un libro, quando ero in Inghilterra. Mi hanno anche offerto cifre notevoli, ma ho sempre detto di no. Non mi piace leggere certe cose. Per me il calcio si gioca, non si racconta».
Ma gli spogliatoi sono ancora piccole caserme, dove i senatori selezionano i ribelli, e i ribelli finiscono per convincersi di esserlo davvero? «Non la vedo proprio così».
Non è accaduto anche a Icardi? «Icardi è una cosa diversa e più delicata, ha a che fare con le dichiarazioni della sua signora».
Non è militaresco, o maschilista, pretendere, come ha fatto Spalletti, che lui si scusasse per la moglie? «Non la vedo così. L’obbligo è militaresco, il rispetto è un’altra cosa».
Lei risponde di quello che dice sua moglie? «Mia moglie è assolutamente libera di dire ciò che vuole. E comunque non so come siano andate le cose a Icardi. Io parlo di cose mie».
Ma il clima negli spogliatoi è cambiato? «Certe regole non cambiano. Bisogna rispettare gli orari e fare attenzione alle parole. Sa che cosa è cambiato? Sono arrivati i social. Sono i social il problema dello spogliatoio oggi».
Però, se uno come Kean in due mesi passa da nuovo Ronaldo a reietto, qualcosa vorrà pur dire. «Dovreste chiedervelo voi giornalisti. Perché la tendenza a costruire idoli e mostri vi appartiene».
Ammetto che siamo parte del sistema. «Siete voi che enfatizzate i toni. E tutto diventa più difficile da gestire. Lo spogliatoio è un posto dove ci sono dei leader che funzionano e pseudo-leader che pensano di essere importanti perché stanno in prima pagina. Così perdono l’umiltà è il controllo di sé».
Da opinionista di Sky, il calcio senza pubblico è più difficile da raccontare? «È uno spettacolo diverso, ma non meno bello. Bisogna stare attenti ai microfoni, a porte chiuse si sente tutto, anche le parolacce. Qualche volta bisognerà abbassare il volume».
O far sentire i cori registrati dei tifosi, come fanno i coreani? «Mi pare un po’ kitsch».
Il suo lockdown l’ha passato davanti a vecchie partite in tivù? «Ho visto i mondiali vinti in Germania, e qualche altro spezzone. Ma da studioso. Quando sai già il risultato, è tutto più noioso».
Ha rivisto anche Fabio Capello calciatore? «Non lo faccio mai».
Uno che ha vinto tutto in campo e in panchina non indugia nei ricordi? «A casa mia non troverebbe né una coppa, né una maglia».
Dove le ha messe? «In un baule in cantina. Gliel’ho detto, il calcio per me è il presente. E spero che torni presto».
A cura di Alessandro Barbano (CdS)