Il primo problema, quello degli allenamenti singoli, è in realtà relativo. Se ognuno di noi si può allenare individualmente, allora lo può fare anche il calciatore professionista. Poi c’è il problema degli allenamenti in gruppo e dunque delle partite, che sarebbero rispettivamente la fase 2 e la fase 3. Su questi due punti ci sono delle incongruenze – prosegue Luca Marchetti su Sky Sport. E, a sua volta, le problematiche da affrontare sono due: i protocolli sono molto dispendiosi sia a livello logistico che a livello economico, e dunque non potrebbero essere garantiti da società di Serie C e, ancor più, dai dilettanti. Dal punto di vista pratico – oltreché etico – il problema è la capacità di trovare tamponi e test per i giocatori, che dovrebbero essere inoltre molto frequenti.
Il secondo punto da comprendere è relativo a un eventuale caso di nuovo contagio. Secondo le norme del governo, chi è positivo deve andare in quarantena, ma deve farlo anche chi è stato a contatto con il positivo. È un punto su cui servirà un confronto costruttivo. E poi c’è il tema nella responsabilità: dovesse ammalarsi un giocatore su chi ricade? Sul giocatore che non ha rispettato regole o sul presidente e medico sociale che dovrebbero sovrintendere i comportamenti del gruppo squadra? Infine, il capitolo spostamenti. Come si organizzano? Ci sono zone più o meno colpite in Italia. Difficile che non si tenga in considerazione l’ipotesi di giocare in zone geografiche diverse da quelle abituali, spostandosi, eventualmente, nelle regioni meno invase dal virus.